Gli invisibili

Invisibili

Gli infortuni sul lavoro continuano ad accadere  secondo dinamiche note, nonostante i mutamenti globali e l’avanzare delle tecnologie. La loro narrazione può contribuire a prevenirli. [1]

Il 9 maggio scorso è stato presentata al Salone del libro di Torino una pubblicazione dal titolo gli Invisibili [2] che ha offerto una splendida occasione di visibilità a tematiche e a soggetti per lo più ignoti, o ignorati.

Gli Invisibili sono coloro che muoiono o si infortunano sul lavoro di cui solo una minima parte, per gravità o singolarità degli eventi, arriva alle cronache quotidiane: della maggior parte di loro non si conosce neanche il nome, tanto meno chi sono, cosa  è accaduto loro e perché. Altrettanto invisibili si considerano coloro che su tali eventi indagano per capirne le ragioni e le modalità di accadimento.

Ma per gli Invisibili raccontati al Salone del libro non si tratta solo della narrazione frutto di un’indagine  tecnico – scientifica: sono persone vere, con la loro vita famigliare, i loro sogni, la loro quotidianità offesa, che ci coinvolgono molto di più e ci aiutano a non dimenticare,  a non considerare questi eventi solo come numeri  o accadimenti di cui si tralascia di osservare il prima e il dopo.

Invisibili è una raccolta di 20 racconti nata dalla volontà di restituire un’anima ai fautori delle inchieste e alle vittime di infortuni sul lavoro e lo fa cercando di comunicare concetti basilari quali la salute e la sicurezza negli ambienti di lavoro, facendo leva sulle emozioni che la narrazione di questi tragici eventi sono in grado di suscitare nel lettore.

“La raccolta è nata quindi con l’idea di valorizzare l’impegno di quanti si sono sforzati nel voler restituire umanità e sentimento ai fautori delle inchieste e alle vittime di infortunio: vittime entrambe di un sistema organizzativo di prevenzione inadeguato.”

Gli Invisibili sono il frutto del lavoro che, da oltre un decennio, viene svolto  nell’ambito del Progetto Storie di infortunio nato nel 2012 grazie al Centro di Documentazione per la Promozione della Salute (DoRS) e al Servizio di Epidemiologia della Regione Piemonte. Il Progetto Storie di infortunio nasce poco dopo due eventi gravissimi il rogo alla ThyssenKrupp di Torino e l’esplosione presso il Molino Cordero di Fossano, per comprenderne le ragioni e superare il terribile senso di impotenza che tali eventi non possono non indurre.  Le storie, un centinaio, sono raccolte in un repertorio disponibile, ad accesso libero, sul sito web: https://www.storiedinfortunio.dors.it/. I fatti narrati sono realmente accaduti, le informazioni raccolte e trascritte dagli operatori dei Servizi PreSal divengono  Studi di caso analizzati per capire e imparare dagli errori e ragionare su cosa si sarebbe dovuto e potuto fare per impedire che l’evento tragico si verificasse.

“Non sarebbe successo se…” è il titolo significativo della scheda che descrive luogo, evento, attività,   azioni che avrebbero impedito l’infortunio.

La scheda di caso – Contenuti
  • Luogo
  • Data
  • Comparto produttivo
  • Esito
  • Dove è avvenuto
  • Cosa si stava facendo
  • Descrizione dell’infortunio
  • Raccomandazioni/Come prevenire

La modalità narrativa con cui si costruisce la storia ha un duplice risultato il primo e più immediato riguarda il coinvolgimento emotivo di chi legge e la possibile identificazione con l’infortunato e con l’evento; il secondo altrettanto importante è dato dalla possibilità di far emergere elementi di contesto,  relazioni e aspetti di carattere emotivo, ovvero tutta quella molteplicità di fattori che possono condurre all’evento e che, a un’indagine strettamente connessa agli aspetti tecnici della sicurezza, possono sfuggire:

Nelle relazioni causa-effetto, l’approccio tecnico-scienti­fico spesso semplifica eccessivamente l’accettazione o il rifiuto delle relazioni causali.
Nell’approccio tecnico-scientifico prevale lo studio sulla catena corta, ad esempio: “mancato uso dei dispositivi di protezione individuale (Dpi) (fattore di rischio/causa), – caduta dall’alto”, (effetto), piuttosto che l’attenzione alla catena lunga ovvero: “fretta – mancato uso dei DPI – caduta dall’alto” o ancora più lunga: “riduzione del personale – carico di lavoro eccessivo – fretta – man­cato uso dei DPI – caduta dall’alto.
È attraverso la narrazione che si coglie la catena lunga e quindi ci si avvicina alla verosimiglianza e si supera il riduzionismo dell’attuale metodo tecnico scientifico. In questo senso, il metodo narrativo avvicina al vero nella ricerca, nella pratica e nella formazione.

Il Gruppo di lavoro Storie di infortunio utilizza la Comunità di pratica come modalità di confronto  che permette a ciascuno di contribuire alla comprensione degli eventi  sulla base della propria e dell’altrui esperienza, inclusi i dubbi.

La scelta di ripensare oggi alla sicurezza avvalendosi di un mix di strumenti tradizionali e innovativi deriva dalla necessità di intervenire non solo sugli aspetti tecnici, ma anche sui comportamenti umani. Uno dei problemi più evidenti connesso a quest’ultimo versante risiede nella difficoltà di indurre cambiamenti sostanziali nelle persone.
Ciò vale per i lavoratori che possono dimostrarsi poco inclini a modificare at­teggiamenti insicuri, ma anche per le altre figure professionali che devono in­dirizzare la cultura della sicurezza.
È quindi necessario considerare questi elementi nella progettazione dell’orga­nizzazione del lavoro ponendo attenzione, ad esempio, a orari e turni e, più in generale, alla sostenibilità dei carichi di lavoro.

La necessità di superare un approccio esclusivamente tecnicistico nella analisi degli eventi è perfettamente coerente con le riflessioni di questi ultimi mesi – dettate dai grandi eventi infortunistici che hanno interessato il nostro paese dall’autunno scorso – molto spesso  indirizzate  a fattori che incidono sulle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro ma che sono insiti nell’organizzazione e nei rapporti di lavoro.  

La sicurezza e la salute sul lavoro dipendono infatti da fattori di contesto e or­ganizzativi la cui natura multiforme è amplificata nella società attuale dove i lavoratori sono esposti all’innovazione dell’informazione e delle tecnologie, alla deregolamentazione interna, alla concorrenza intensificata, al ridimen­sionamento, all’outsourcing nonché a contratti temporanei e insicuri.

Ma le storie degli Invisibili hanno un qualcosa in più: già nel titolo, ma ancor più nel racconto che precede  la Scheda di caso. L’impegno di chi l’ha redatta è rivolto proprio a considerare  l’evento non come un fatto a sé, ma con un prima,  che è il tempo della quotidianità che lo precede, e un dopo in cui l’evento  lascia un segno indelebile nella vita delle persone e delle famiglie  coinvolte.

C’è una sorpresa per te

Teresa Sacchi

Mamma, mi racconti di nuovo come vi siete conosciuti tu e papà?
L’ennesima domanda di mia figlia per l’ennesima volta.
Si chiama Emma, ha cinque anni e una curiosità insaziabile. Ama ascoltare la storia di quando ci siamo conosciuti io e il suo papà, Mirco, del quale è folle­mente innamorata.
Allora io cerco di rendere la storia più ricca di effetti, che sia più simile a come vorrebbe sentirla lei, aggiungendo dettagli fiabeschi, soffermandomi nella descrizione del vestito da principessa che indossavo otto anni fa al nostro ma­trimonio. Ovviamente le rendo tutto bello e spettacolare, ma mentre le parlo ripercorro la storia, quella vera, quella reale.E non le posso certo raccontare da dove siamo partiti, io e il suo papà.
Le parlo solo del desiderio di trovare la casa dei sogni e di creare la nostra fami­glia. Non abbiamo mai avuto grosse pretese, volevamo una casa semplice, ma che accogliesse noi e i nostri progetti per il futuro.
Abbiamo sempre voluto due bambini, magari un cane. Sognavamo e fantasti­cavamo su quella che sarebbe stata la nostra vita insieme; sì, fantasticavamo, perché c’erano le difficoltà economiche, sapevamo che dovevamo fare dei sa­crifici e che ci aspettavano dei momenti difficili.
Ma questo Emma non lo sa.
Avevamo vent’anni, tanti sogni e pochi soldi, tanta intraprendenza e lavori che duravano troppo poco. Ma un giorno Mirco venne da me, sorrideva, era contento e dopo avermi tenuta un po’ sulle spine – perché a lui piace scherzare – mi disse che finalmente gli avevano proposto un contratto di lavoro in un’a­zienda.
Ti porterò le migliori tagliatelle dell’Emilia Romagna! Sai che pranzetti prepa­reremo!
Mi diceva così. Sarebbe diventato un pastaio. E da lì i sacrifici iniziarono a dar­ci le soddisfazioni che aspettavamo: il contratto, “l’indeterminato”, l’approva­zione della richiesta del mutuo, la nostra casa.
Tutto prendeva forma. Poi Emma, la nostra gioia più grande.
Papà, oggi non fare tardi. Quando torni, c’è una sorpresa per te!11
Per il compleanno del suo papà, Emma mi ha chiesto di comprare dozzine di palloncini, festoni, anche i cappellini a punta.
E la torta deve essere “gigante”, dice lei.
Papà, tu oggi al lavoro prepari la pasta e noi ti prepariamo la nostra sorpresa, così vediamo chi vince
Tanto poi sappiamo come va a finire, che è sempre lei a vincere. E come premio vorrà che il papà la prenda sulle spalle correndo per tutta la casa, proprio come i personaggi delle sue adorate fiabe che correvano in sella ai loro cavalli.
Così Mirco si chiude la porta di casa alle spalle, ma so che non vede l’ora di var­carla nuovamente stasera, con Emma che gli corre incontro.
Quando arriva al lavoro ci sono già i suoi colleghi ad aspettarlo, per un caffè al volo. Si cambia velocemente e inizia il suo turno.
Sono ormai otto anni che lavora in quell’azienda, si considerano tutti come una famiglia. Raggiunge la sua postazione. Ormai è un pastaio esperto, cono­sce quelle macchine in ogni parte. Ne deve controllare il corretto funziona­mento. L’impasto, una volta preparato, passa dall’impastatrice alla sfogliatri­ce, tutto in maniera automatica.
La sfogliatrice ha nella parte superiore una vasca di carico con all’interno un aspo dotato di palette in acciaio che spezzettano l’impasto e lo fanno cadere sui rulli che sono sul fondo.
Mi racconta sempre tutto nei dettagli, come se io sapessi cos’è un aspo.
Sai che ruota alla velocità di 12 giri al minuto? Un giro completo dura cinque se­condi
Mi dice.
A volte ci riuniamo con i suoi colleghi e le sue colleghe e le rispettive famiglie. Finiscono sempre col parlare di lavoro. I colleghi mi ripetono quanto Mirco sia scrupoloso sul lavoro; lui ha la responsabilità sulla produzione della pasta come quantità e come qualità.
Eccomi, sono Emma. Mia mamma ha parlato già tanto.
Sì, il mio papà è preciso. Mi ha sempre aiutato a fare i lavoretti per l’asilo. E do­vevo essere precisa anch’io, eh?! Proprio come lui. E ci pensavo mentre con la mamma aggiungevo la panna sulla torta per il suo compleanno.
E so che papà, allo stesso modo, pensa a me ora che è alla sua postazione di lavo­ro. Sorveglia mentre la macchina è in funzione, mentre carica l’impasto nella vasca.
Deve controllare che tutto funzioni bene. A volte però succede che l’impasto si fermi sulla parete della vasca, in punti dove non arrivano le pale in acciaio, quelle pale che come denti feroci spezzano tutto. Proprio tutto.
Papà, sei troppo preciso per non fare qualcosa, sei troppo responsabile per non intervenire. È il tuo dovere. Era quasi la fine del tuo turno, guardavi l’orologio, ma dovevi ancora controllare che la vasca si fosse svuotata completamente. Qualcosa non andava, l’impasto non era sceso del tutto.
Papà, c’è una sorpresa per te a casa, ma tu non tornerai più.
Dovevi a tutti i costi salire sulla scala del soppalco per raggiungere la vasca, in cima all’impianto, dovevi vedere dove si fosse fermato l’impasto e risolvere il problema. Tu non tornerai più. E io sono ancora lì che ti aspetto.
Ti avrei aspettato tutto il tempo necessario, non c’era bisogno che tu facessi tutto di fretta.
Avresti dovuto fermare la macchina prima di salire lì sopra.
Non avresti dovuto sporgerti lì dentro con quei denti d’acciaio in movimento, non avresti dovuto allungare il braccio per spingere l’impasto. Ora vedi cosa è successo, forse hai perso l’equilibrio e quei maledetti denti d’acciaio hanno preso prima la tua mano, poi tutto il braccio.
Il tuo urlo, uno solo. Sei stato trascinato in quella maledetta macchina, in po­chi secondi, fino al collo! Quel collo robusto che mi sorreggeva e mi faceva sen­tire invincibile.
Quel collo robusto.
“Trac!”
E poi il silenzio tra quel rumore di macchine.
C’era una sorpresa per te. Come ho accennato all’inizio, mia mamma ha par­lato già tanto. Ora non ne ha più la forza. Ora c’è solo un gran silenzio nei suoi occhi. Ma in me invece c’è un urlo, assordante e sordo!
Un urlo di rabbia e dolore, per tutto quello che non saremo mai, papà.

Segue la Scheda di caso

Gruppo di lavoro “Storie di infortunio”. Invisibili. Centro di Documentazione per la Promozione della Salute (Dors).
Regione Piemonte www.storiedinfortunio.dors.it, Marzo 2024


NOTE

[1] Narrare per prevenire. Le storie di infortunio sul lavoro. Con Davide Bogetti, Elena Cestino, Luisella Gilardi, Federico Magri e Eleonora Tosco, Locandina Salone del libro, Torino 9 maggio 2024.

[2] Gruppo di lavoro “Storie di infortunio”. Invisibili. Centro di Documentazione per la Promozione della Salute (Dors). Regione Piemonte www.storiedinfortunio.dors.it, Marzo 2024

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