Gutta cavat lapidem

L’on. Maurizio Sacconi ripropone, per la terza volta, modifiche al D.Lgs.81/08.

Wikipedia ci dice che nel corso del Medioevo la nota sentenza latina per cui la goccia scava la pietra sia stata ampliata, aggiungendo la spiegazione della modalità con cui lo scavo avviene: “gutta cavat lapidenon vi, sed saepe cadendo”, cioè la goccia perfora la pietra non con la forza, bensì con il continuo stillicidio.

L’onorevole Maurizio Sacconi sembra aver preso ispirazione da questa modalità quando ha presentato pochi giorni fa, insieme alla Sen. Serenella Fucksia (medico del lavoro, gruppo misto, ex M5S), alla Commissione Lavoro del Senato un disegno di legge sostanzialmente sostitutivo del D.Lgs 81/08 ( il Titolo I° verrebbe abrogato e gli altri Titoli  sostanzialmente riscritti).

La proposta non attirerebbe l’attenzione se non venisse da un senatore interno alla maggioranza di Governo (anche se la sua è una proposta personale) e non puntasse a una revisione totale della normativa riproponendo di nuovo una filosofia che si discosta non solo dall’attuale norma, ma anche dall’orientamento su cui si sta lavorando nel nostro Paese e in Europa.

Sia chiaro nessuno contesta né il diritto del senatore a presentare proposte modificative, né di avere idee o meglio approcci radicalmente diversi. Ciò che invece lascia perplessi è la testardaggine che sfiora l’ossessione personale con cui queste proposte legislative vengono presentate, figlie di un punto di vista personalissimo e sovrapponendosi autisticamente alle esperienze e al dibattito in piedi nelle sedi istituzionali, nelle aziende e nel Paese.

Mettiamo in chiaro un altro punto. La normativa vigente è lungi dall’essere perfetta, in molte parti non è stata neanche applicata, accumulando un colpevole ritardo e sicuramente necessità di modifiche. Proprio di questo si parla anche nella nostra regione. Servirebbe una chiara semplificazione, una più forte sburocratizzazione dell’approccio, una omogenea lettura delle norme da parte dei servizi ispettivi, una creazione di linee guida alla valutazione dei rischi in ogni settore (come è in uso in molti Paesi europei) e altro ancora.

Il disegno di legge avanzato al Senato tralascia tutto ciò, e sembra concentrarsi di nuovo sull’obiettivo di liberare l’imprenditore (e non l’impresa) da ogni responsabilità. Obiettivo raggiungibile, secondo la proposta avanzata, attraverso  un sistema di emissione di certificati da parte di figure professionali ( alla faccia della semplificazione burocratica) che:

costituiscono presunzione legale in ordine all’adempimento da parte del medesimo (Datore di Lavoro, n.d.r.) degli obblighi in ordine ai quali è resa la certificazione.

Insomma se il Datore di lavoro riuscisse ad ottenere la certificazione che attesti che ha svolto tutto quanto la norma prevede, raggiungerebbe la certezza legale che le responsabilità sono di altri e non sue. All’imprenditore resterebbe la sola “colpa da organizzazione”, nel caso non riesca a dimostrare di aver posto in essere tutte le misure organizzative idonee a tutelare i lavoratori e quindi non fosse in possesso delle certificazioni relative.

All’art.7 ai c. 3 e 4  della proposta, si dice:

3. Il datore di lavoro può chiedere a un medico del lavoro o a un professionista competente in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in possesso dei requisiti di cui al comma 5, di certificare l’avvenuta effettuazione della valutazione dei rischi e l’efficace attuazione delle misure di prevenzione e protezione da essa previste.
4. Il datore di lavoro può chiedere a un medico del lavoro iscritto nell’elenco nazionale, in relazione alle materie di competenza del medesimo, o a un professionista competente in materia di sicurezza del lavoro, in possesso dei requisiti di cui al comma 5, in relazione alle materie di competenza del medesimo, di certificare l’adozione e l’efficace attuazione di ciascuno degli obblighi previsti dalla presente legge.

È possibile che chi ha avanzato la proposta non si sia reso conto che non si sta parlando di un’attestazione come potrebbe essere l’omologazione di un macchinario, ma di un esame della bontà di un sistema complesso e dinamico qual è l’analisi dei rischi di un processo produttivo. Stiamo parlando di un professionista (peraltro non si capisce con quali competenze possa redigerlo un medico del lavoro) che certifica che tutto il complesso di attività – analisi dei rischi, valutazione, indicazioni delle misure, la programmazione e la realizzazioni e infine il monitoraggio (più la sorveglianza sanitaria questa sì di competenza del medico) – siano state fatte come prescritto dalle norme e che per questo l’imprenditore (e perché non anche l’RSPP, il medico,e persino l’Rls che hanno partecipato al processo?) va considerato senza responsabilità se accade qualcosa.

Quindi se ci fosse un infortunio e il Datore di lavoro fosse in possesso del certificato, i responsabili chi sarebbero? I dirigenti, i preposti, il lavoratore infortunato e i suoi colleghi? Si pensa che così in azienda si lavorerebbe più sereni o piuttosto che ognuno di queste figure d’ora in poi si limiterebbe a fare il minimo indispensabile per timore di essere coinvolto in vicende che potrebbero anche avere pesanti risvolti penali?  E poi, ma davvero si può pensare che un magistrato o un pubblico ufficiale non indaghi sulle responsabilità di ciascuno, imprenditore compreso, solo perché si trova davanti un attestato di un professionista privato che dice che per lui tutto è fatto a regola d’arte? Oppure non è più probabile che ci possa essere un incriminato in più e cioè l’estensore della certificazione?

Veramente non si capisce. E poi ci verrebbe da chiedere: siamo certi che limitare la prevenzione al rispetto di poche regolette sia il modo più efficace per “migliorare nel tempo” i processi e le condizioni di lavoro? Siamo certi che ci saranno professionisti che vorranno firmare certificazioni assumendosi quel tipo di responsabilità? E anche ci fossero, visto che non si sta certificando che i fumi di un auto siano in regola, non si metterà in piedi una trattativa per conciliare il desiderio dell’imprenditore di avere la certificazione e quella del professionista di essere sicuro che non venga coinvolto civilmente e penalmente ? E una trattativa siffatta non rischia di marginalizzare o rendere inutile ogni forma di partecipazione interna? Quale valore avrà il lavoro del RSPP e a cosa servirà la riunione periodica se sarà il professionista, che per stare certo di ciò che certifica, richiederà e/o indicherà cosa serve per ricevere la certificazione?  Insomma il certificatore non rischia di diventare il deus ex machina dell’azienda pur rimanendo un professionista esterno?

Sono domande pesanti che si sommano all’impressione che alle figure interne non resti che il controllo gerarchico e disciplinare per verificare che quello che sia stato deciso “altrove” venga mantenuto.  Proprio in tema di vigilanza recita l’art.6 c.5 :

Tale vigilanza si esplica attraverso una articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, la valutazione, la gestione e il controllo del rischio, per mezzo dei dirigenti e dei preposti e attraverso idonee procedure, ivi comprese quelle disciplinari.

Traspare una filosofia vecchia di decenni, secondo la quale si pensa di fare prevenzione non attraverso una partecipazione consapevole e informata di tutti i collaboratori aziendali, ma attraverso norme e divieti da far rispettare stringendo la disciplina interna. Un disegno con colori autoritari che è, per fortuna, marginale in Europa, ma anche in Italia, sorpassato da sistemi innovativi quali i moderni sistemi di gestione. Probabilmente però ritenuto ancora valido dal sen. Sacconi di cui tutti ricordiamo il lancio della campagna “La sicurezza la pretende chi non si vuole bene” che venne definita in un documento di tecnici della prevenzione e di Rls una campagna mistificatoria di colpevolizzazione di massa, basata sulla convinzione che se il lavoratore si vuole bene come per magia il suo ambiente di lavoro, le macchine, l’organizzazione aziendale, al di là dei costi e delle difficoltà reali, si trasformino in luoghi ameni che solo il poco amore che nutre per sé e per la sua famiglia (lo slogan appariva sullo sfondo di una foto di un lavoratore e della sua famiglia) possono infrangere.

Forse sarebbe meglio che chi legifera frequenti un po’ di più le aziende e chi ci vive, potrebbe ricevere la sorpresa di scoprire che sono molto più avanti di lui.

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