Il lavoro al tempo dei robot

Iniziamo con questo intervento una collaborazione (che avrà cadenza quattordicinale) con l’intento esplorare il lavoro al tempo dei robot. Lo faremo utilizzando gli strumenti dell’ergonomia.

Tutto è avvenuto senza che ce ne rendessimo conto: i robot sono già tra di noi, ci osservano, ci danno informazioni, svolgono per noi lavori faticosi e rischiosi, siamo circondati da manufatti dotati della capacità di cercare, elaborare ed immagazzinare informazioni che utilizzeranno per risolvere i problemi della nostra vita quotidiana o rendere più produttivo e sicuro il nostro lavoro. Sempre più entreranno nella nostra vita, ci sostituiranno per lavorare senza di noi, lavoreranno per noi, come nostri subordinati e in alcuni casi saremo noi ad essere subordinati a loro.
Secondo alcuni osservatori dovranno essere riconosciuti come soggetti giuridici, pagare le tasse, occuparsi di pagare le nostre pensioni, e distribuire reddito. Altri osservano che occorrono incentivi fiscali per accelerare l’introduzione di queste tecnologie nel nostro sistema produttivo.

È corretto parlare di nuova rivoluzione industriale o stiamo assistendo più semplicemente ad una fase di sviluppo tecnologico? Quali sono i cambiamenti dirompenti e su quali fattori (capitale umano, relazioni industriali, sviluppo locale…) andranno ad incidere?

Siamo in mezzo ad una rivoluzione, in un periodo in cui i dinosauri non si sono ancora estinti e i mammiferi che si stanno affermando non hanno ancora il predominio del mondo, scriveva Lorenzo Necci nel 1988. Una metafora per descrivere in maniera assai efficace il passaggio da una concezione dell’organizzazione fordista, caratterizzata da un ambiente certo, pianificato e pianificabile, organizzazioni di tipo “meccanico”, molto estese, che tendono a fagocitare il massimo del valore aggiunto (i dinosauri) ad un’idea dell’organizzazione cui è richiesta una capacità di adattamento continuo dei propri orizzonti e delle decisioni, organizzazioni di tipo “organico” che tendono a controllare trasferendo all’esterno tutta la parte di valore aggiunto non strategico per l’impresa (i mammiferi). Una metafora per indicare che eravamo in un periodo di transizione durante il quale l’impresa ed il lavoro si stavano modificando ed al termine del quale nulla sarebbe più stato come prima. Stavamo assistendo a grandi trasformazioni sociali, scientifiche, politiche. Come le precedenti rivoluzioni industriali anche quella stava togliendo lavoro, stava creando lavoro, ma sopratutto stava trasformando il lavoro e con esso i rapporti sociali.
Quella transizione, che abbiamo indicato come terza rivoluzione industriale, alla base della quale c’è lo sviluppo delle telecomunicazioni e dell’informatica, che ha iniziato negli anni ’80 ad introdurre robot meccanici nelle nostre fabbriche, non è ancora terminata che già sono disponibili la rete internet e le prime applicazioni di intelligenza artificiale (AI).

In atto c’è una sfida etica, la scelta di valori che la classe dirigente deve affrontare, per evitare che i “nuovi padroni della robotica” assumano un potere esagerato. Mentre si profila questa sfida epocale, in atto c’è un’altra sfida che riguarda i progettisti che queste macchine costruiranno, riguarda la capacità di progettare sistemi di interazione tra l’uomo, la macchina/la rete e l’ambiente, ovvero tra l’uomo e le macchine presenti nel proprio ambiente che sono collegate e comunicano tra loro attraverso la rete. Attraverso la rete possono apprendere, e siccome non tutte saranno collegate nello stesso tempo ed eseguiranno algoritmi diversi, apprenderanno ed evolveranno in maniera differente una dalle altre, memorizzeranno e conserveranno le informazioni acquisite, come avviene per gli esseri umani, ma con una capacità di memorizzare enormemente superiore a quella dell’uomo. Questa sfida riguarda anche chi quelle macchine dovrà utilizzarle, con quelle macchine dovrà interagire e controllarne i cambiamenti che indurranno nella vita quotidiana.

L’ergonomia sarà il campo dove si deciderà questa sfida, lo studio sull’usabilità o più propriamente, la conoscenza della user experience, gli aspetti esperenziali, affettivi, di attribuzione di senso e di valore collegati all’interazione con le macchine intelligenti; e siccome l’uomo per interagire con le macchine utilizza i propri sensi, il sistema motorio e le proprie conoscenze e capacità cognitive la user experience dovrà incorporare la conoscenza delle percezioni degli utilizzatori rispetto all’utilità, la semplicità e l’efficienza di queste nuove macchine.

Ci ricorda Alessandra Rinaldi che creare macchine intelligenti significa creare interazione, simbiosi e cooperazione, tanto con le persone quanto con le altre macchine intelligenti. L’ergonomia sarà la chiave per affrontare questa sfida, per progettare interfacce digitali, in cui le comunicazioni uomo-macchina-rete non avverranno più solo attraverso la tastiera di un computer diventato sempre più piccolo e portatile e con comandi touch, ma prevederanno modalità di interfaccia quali la comprensione ed emulazione, da parte della macchina, del comportamento umano, e la gestione di segnali sociali: le funzioni dei dispositivi mosse attraverso le dita, i gesti, la voce, gli occhi e addirittura il pensiero (Alessandra Rinaldi, Il design dei prodotti connessi, su Rivista Italiana di Ergonomia, n. 13 – 2016).

I nuovi modelli di organizzazione del lavoro sono la conseguenza dell’introduzione delle tecnologie o il risultato di scelte etiche e paradigmi che si confrontano? A questa domanda proveremo a rispondere nel prossimo intervento.

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