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Il telelavoro a tempo pieno non è la soluzione!

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fonte: My Happy Job
traduzione: Gabriella Galli


Continuiamo la nostra esplorazione nel territorio del lavoro digitalizzato proponendo una nuova intervista pubblicata sul sito My happy job, e tradotta per ReS.

Intervista di Fabienne Broucaret a Pascal Grémiaux, fondatore di Eurécia, una PMI di Tolosa con 80 dipendenti
(2 giugno 2020)

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La sua convinzione? Il lavoro remoto al 100% priverebbe l’azienda del suo bene più prezioso: la qualità e la ricchezza delle relazioni umane.

Quale era la situazione in Eurécia in termini di telelavoro prima del confinamento?

Pascal Grémiaux – Ho iniziato la mia attività lavorando da casa quasi 15 anni fa! Per la cronaca, ho lavorato nel mio garage con i miei primi tre dipendenti. La pratica del telelavoro si è sviluppata da noi già circa cinque anni fa. Prima era informale ed abbiamo lasciato alla discrezione di manager e dipendenti di decidere in merito. Essendo l’azienda in forte crescita ed avendo ora 80 dipendenti, abbiamo dovuto formalizzare questa nuova modalità di lavoro per garantire condizioni di equità tra tutti. Abbiamo quindi creato nel 2019, in collaborazione con il Comitato aziendale [1], una carta del lavoro per stabilire le regole e fornire un quadro di riferimento comune. Il numero di telelavoratori è notevolmente aumentato a seguito dell’attuazione della carta del lavoro, l’autorizzazione a lavorare da casa è ora ufficiale. Ogni manager può fissare un giorno in modo che tutti i membri del suo team siano presenti contemporaneamente in ufficio. Le richieste possono essere effettuate in remoto tramite il nostro software HR [2] ed abbiamo fissato un massimo di giorni in telelavoro alla settimana.

Che cosa è cambiato nel periodo di confinamento?

PG – Siamo finiti nel telelavoro a tempo pieno in maniera forzata. Ma tutti i nostri dipendenti erano già dotati di computer portatili e degli strumenti tecnici necessari per lavorare bene a distanza, il che ha notevolmente facilitato le cose nonostante lo smarrimento del primo momento. Ogni manager ha avuto il tempo di discutere regolarmente con i membri della sua squadra. Io stesso ho comunicato con tutti loro ogni venerdì: una breve relazione di 15 minuti per spiegare la situazione aziendale e come stavamo vivendo le condizioni di emergenza. La trasparenza che ha caratterizzato la nostra gestione è stata molto apprezzata e ha rassicurato molto. La cosa più importante era davvero rimanere in contatto con tutti i dipendenti durante il confinamento!

È quando senti la mancanza dei rapporti personali che ti rendi davvero conto che sono la cosa più preziosa.
Questo è in particolare il motivo per cui sono scettico sulle dichiarazioni delle aziende che annunciano una generalizzazione  del telelavoro a tempo pieno. Secondo me, questa non è la soluzione!

Perché ?

PG – Penso che dobbiamo trovare il giusto equilibrio: abbiamo bisogno di tempo da trascorrere insieme anche fisicamente per mantenere la motivazione e creare una vera competizione all’interno dell’azienda. Il telelavoro offre una reale flessibilità nell’organizzazione dei tempi di vita, ma può anche portare alla solitudine, a un aumento dei rischi psicosociali e a condizioni di blocco psicologico e lavorativo, quando viene praticato a tempo pieno. E poi la vita di una squadra, non è solo lavoro, ci sono sempre scambi amichevoli, informali, alla macchina del caffè ad esempio. Lo stesso tempo del trasferimento casa-lavoro e lavoro-casa rappresenta anche uno spazio di decompressione, puoi schiarirti la testa prima di andare a casa o in ufficio, e questo evita la confusione e la difficoltà di porre un confine tra vita professionale e vita personale.

Qual è la chiave per trovare l’equazione giusta?

PG – Penso che sia la maturità nella gestione manageriale.

Il confinamento ha avuto il merito di frantumare i pregiudizi nei confronti del telelavoro e far cadere la resistenza. È la qualità delle relazioni e la fiducia reciproca che farà la differenza. Autenticità e sincerità sul lavoro sono più importanti che mai sia in presenza che a distanza. I  manager devono imparare a comunicare meglio, ad essere assertivi,  devono impegnarsi nell’esercizio di una comunicazione non violenta. La posizione del manager è essenziale.

Questa crisi cosa ha portato di positivo?

PG – Le esperienze precedenti nel campo dello smart working ci hanno aiutato ad adattarci e a reagire invece di subire gli eventi. Su iniziativa dei dipendenti abbiamo offerto gratuitamente il nostro software HR: i progetti sono stati quindi gestiti da un team remoto. Il dipartimento Comunicazione-Marketing ha inviato una confezione regalo a tutti i dipendenti con messaggi amichevoli, gratta e vinci, caramelle… questa piccola forma di attenzione è stata in realtà molto gradita.

Ma la crisi è anche cambiamento, è un acceleratore per la trasformazione: per noi non si tratta di una rivoluzione, ma di una spinta a ragionare sul numero di giorni di telelavoro a settimana e sull’uso dei nostri uffici: essendo in piena costruzione del nostro campus, vogliamo davvero renderlo un luogo di vita in cui veniamo per scambiare e condividere, non a lavorare da soli ciascuno dietro il proprio computer!

Come procede il ritorno in ufficio nella tua azienda?

PG – È molto progressivo. Il telelavoro rimane la norma per il momento, ma i locali sono aperti per i dipendenti che desiderano tornare. Sono tornato in ufficio da solo e ho provato  a gioia di stare insieme, un po’ come i bambini dopo le vacanze estive. Tornare a scuola è una buona cosa!


NOTE

[1] CSE:  “Comité social et économique”. Il CSE è composto da delegati del personale eletti, rappresentanti sindacali e rappresentanti del datore di lavoro ed è l’interlocutore privilegiato per la gestione delle relazioni con il personale.
[2] Software per la gestione delle risorse umane.

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