Oltre a essere utilizzata in campo sanitario a fini diagnostici, negli ultimi trent’anni la spettroscopia di risonanza magnetica nucleare (NMR) è stata largamente utilizzata dalla ricerca scientifica non clinica e si è progressivamente affermata come la tecnica più potente e veloce per l’identificazione di prodotti di reazione o di composti organici incogniti. Oggi è diffusa non solo nei laboratori universitari, ma anche in quelli privati e dell’industria, in particolare per lo studio delle sofisticazioni alimentari o la progettazione di nuovi farmaci. Mentre il suo utilizzo in ambito medico è vincolato al rispetto di determinati requisiti di sicurezza, definiti da una specifica disposizione di legge, nella ricerca non clinica i tomografi RM non sono però sottoposti agli stessi standard. Ad essi si applica invece soltanto il testo unico sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro (decreto legislativo 81/08), che non contiene indicazioni dettagliate, risultando di conseguenza poco utile, se non nelle sue indicazioni più generali. Il risultato è che in molti laboratori di ricerca italiani che utilizzano questa tecnologia le misure di prevenzione e protezione sono ancora poco diffuse. Il rischio potenziale, inoltre, aumenta ulteriormente per la presenza di apprendisti, studenti, specializzandi e borsisti, particolari categorie di lavoratori, talvolta occasionali, che sono competenti dal punto di vista dell’applicazione scientifica ma poco sensibili e spesso non formati rispetto alle misure di sicurezza. “Da qui la necessità – sottolinea Francesco Campanella, ricercatore presso il dipartimento di Medicina, Epidemiologia, Igiene del lavoro e ambientale (Dimelia) dell’Inail e coordinatore scientifico di uno studio dedicato proprio alle criticità legate alle applicazioni scientifiche della NMR – di proporre un quadro di regole e comportamenti di cautela chiari ma comunque applicabili mutuati dall’ambito medico, dove i dati in nostro possesso sono numerosi e ben consolidati”. Uno dei rischi principali nelle attività cliniche e in quelle di ricerca è quello che deriva dal campo magnetico statico generato dal magnete contenuto nel tomografo, che è piuttosto intenso nella sua prossimità. “È poco percepito perché non è visibile – precisa il ricercatore Inail – e ciò abbassa la soglia di attenzione del personale Se gestito male, questo rischio può anche provocare incidenti gravi, perché l’avvicinamento eccessivo di un oggetto ferromagnetico può generare l’effetto proiettile”.
Un altro rischio è quello legato all’utilizzo all’interno del tomografo di una grande quantità di elio, un fluido criogenico tossico, inodore e incolore che garantisce il funzionamento ottimale del magnete. “Per prevenire incidenti legati a una sua possibile fuoriuscita – spiega Campanella – è fondamentale installare un sensore chimico che, verificando costantemente la composizione dell’aria circostante, possa segnalare eventuali anomalie generate da un’evaporazione di elio nella stanza, prima che ne consegua una irrespirabilità non rilevata”.
“L’approccio alla prevenzione e protezione rispetto ai rischi – aggiunge il ricercatore – dovrebbe essere sistematico e codificato, secondo un protocollo che, in analogia all’ambito medico, segua determinati standard e garantisca requisiti minimi di carattere strutturale, tecnologico e organizzativo, prevedendo misure di sicurezza, dispositivi e procedure, che peraltro sono già presenti nelle nostre strutture sanitarie, ma che ancora molto raramente vengono adottate nei laboratori universitari o degli enti di ricerca diffusi sul nostro territorio”.
Fonte: amblav.it