Incidenti tecnologici, errore umano o errori organizzativi?

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Repertorio Salute nacque, anni fa, con l’intenzione di proporre alla riflessione dei nostri lettori pratiche positive tratte dalla cultura della salute e sicurezza sul lavoro.

Un evento tragico come quello verificatosi a Brandizzo la notte del 31 agosto scorso, tuttavia, non può essere ignorato. Lasciando le parole sinceramente commosse a chi per vicinanza ha diritto di pronunciarle, e quelle vuotamente retoriche a chi lo fa per mestiere, proponiamo alcune riflessioni che, pur non essendo nuove, sembrerebbero essere ancora oggi sconosciute ai più. Di fronte a un tragico evento come questo c’è chi ancora cerca la sua radice nell’“errore umano”.

Nei primi anni 2000 [1] ebbi l’occasione di leggere un libro straordinario di Maurizio Catino [2], dal titolo significativo: Da Chernobyl a Linate. Incidenti tecnologici o errori organizzativi. L’autore, come si può dedurre dal titolo, affronta il tema dei grandi incidenti e si interroga su:

Che cosa genera gli incidenti? Sono sempre causati da un errore umano o forse è la tecnologica a fallire e se invece i disastri non fossero riconducibili a questi comodi capri espiatori ma fossero prodotti dai sistemi organizzativi?

I casi analizzati riguardano: incidenti nucleari (Three Mile Island e Chernobyl), incidenti nello spazio (il Challanger e il Columbia), incidenti aerei (Tenerife e Linate), incidenti in medicina e tre incidenti ferroviari.

Punto di partenza, frutto di analisi teorica e di ricerca empirica, è per l’autore:

  • la visione critica nei confronti della dualistica attribuzione delle responsabilità degli incidenti a fattori tecnologici o all’errore umano, idee che hanno permesso di trascurare a lungo le responsabilità organizzative e gestionali, utilizzando prioritariamente come capro espiatorio l’errore umano
  • la dimostrazione che gli incidenti non avvengo mai per una sola causa (umana o tecnologica) ma piuttosto derivano da molteplici eventi diversi che entrano in relazione e causano l’incidente.

Ed è proprio la molteplicità dei determinanti – che riscontriamo nella maggior parte dei casi come causa dell’evento – che rimanda all’errore organizzativo:

Se è vero dunque che un incidente è attivato dall’errore di un operatore (un pilota, un macchinista, un tecnico della centrale), è altrettanto vero che quell’errore s’innesta spesso in un sistema organizzativo caratterizzato da criticità latenti che rimangono silenti finché un errore umano appunto non le attiva. Ne deriva che in molti casi le condizioni per l’errore umano sono precostituite, inintenzionalmente dall’organizzazione. Gli incidenti accadono inoltre non soltanto per la violazione delle norme da parte degli operatori, ma talvolta proprio per il rispetto di regole fallaci o non adatte alla complessità del compito [3].

La prospettiva che abbiamo fin qui descritto risulta molto importante per identificare le responsabilità, in quanto considera gli operatori non tanto quali i responsabili dell’evento quanto gli “eredi” di difetti presenti nel sistema e generati da attori e funzioni organizzative lontane nel tempo e nello spazio per cui:

quando accade un incidente in un’organizzazione complessa è l’organizzazione stessa che fallisce e non soltanto l’individuo a più stretto contatto con l’evento stesso.

Pensiamo al dramma umano non solo degli operai che sono stati travolti e delle loro famiglie, ma anche del macchinista che ha materialmente causato l’incidente di Brandizzo e come questo evento lo accompagnerà per il resto della sua vita.

Nel corso degli ultimi decenni teorie dell’errore che tengono conto degli elementi fin qui ricordati sono state ampiamente diffuse: nota a livello internazionale è la teoria di James Reason che ha dato un contributo importante nell’analizzare sia le cause degli errori sia gli aspetti organizzativi. Reason come altri studiosi dei fattori umani mette

al centro dell’attenzione la persona, sostenendo che le tecnologie, gli strumenti di supporto e le procedure debbano essere progettate secondo una concezione antropocentrica e non tecnocentrica [4] come accade nel modello ingegneristico della sicurezza. … A fronte di un errore umano bisogna progettare nuovamente il sistema in modo che risulti confacente alle persone che dovranno farne uso.

Anche a livello nazionale – e ne parliamo spesso riconoscendone la grande validità – Sbagliando si impara, il modello di analisi degli infortuni mortali e gravi sul lavoro utilizzato dal Sistema di sorveglianza nazionale Infor.Mo (INAIL-Regioni), propone un’analisi multifattoriale con sei fattori di rischio (attività dell’infortunato, attività di terzi, utensili macchinari impianti, ambiente, Dpi, materiali) che possono agire come determinanti e modulatori:

L’utilizzo di un modello multifattoriale per l’analisi delle circostanze che determinano gli infortuni offre dunque la possibilità di indagare più in dettaglio le cause che sono intervenute nel corso della dinamica infortunistica. Si tratta di informazioni di lettura meno immediata ma non prive di nuovi spunti interpretativi… [5]

che permettono e rinviano ad una lettura anche degli aspetti organizzativi.

Il modello Sbagliando si impara è inoltre applicabile a tutte le tipologie di eventi non solo mortali e gravi ma anche, “con le dovute accortezze” ai near misses. Questo elemento degli infortuni mancati ci rimanda all’attenzione che i piccoli eventi devono ricevere per impedire che si manifesti il vero evento con ricadute mortali e gravi. Si parla nel testo di Maurizio Catino [6] di:

periodo di incubazione dell’incidente, allorché si manifesta e si accumula una serie di segnali contrastanti sulle norme della sicurezza… E in questa fase che si sviluppa il fallimento della previsione dell’organizzazione nel leggere i segnali deboli che preannunciano un possibile incidente di maggiore magnitudo.

Nei primi elementi che sono emersi dal racconto del terribile incidente di Brandizzo si è parlato di problemi di comunicazione: tema che sarà sicuramente oggetto di indagine, ma a questo dato subito dopo si sono aggiunte le ipotesi dell’utilizzo di una scorretta procedura di comunicazione tre le due aziende coinvolte quale modalità che sembra essere così diffusa, nei lavori di manutenzione in appalto nel settore ferroviario, da essere considerata pratica generalmente utilizzata. Già questi primi elementi invocano:

  • la massima attenzione nei confronti degli aspetti organizzativi
  • l’esame attento delle incongruenze tra procedure e pratiche
  • l’individuazione delle ragioni di tali incongruenze per lo più iscritte nelle necessità produttive, specie in attività come quelle delle manutenzioni cui si impongono tempi rigidamente obbligati.

NOTE

[1] La prima edizioni del 2002 è di Carrocci, la seconda di Mondadori-Ricerca nel 2006.

[2] Docente presso la Bocconi di sociologia dell’organizzazione.

[3] Da Chernobyl a Linate. Incidenti tecnologici o errori organizzativi, Introduzione.

[4] Una lezione oggi ancora più importante considerando le innovazioni introdotte delle tecnologie dell’informazione e comunicazione (ICT e IA).

[5] La ricostruzione delle cause e delle dinamiche infortunistiche negli ambienti di lavoro attraverso il modello “sbagliando s’impara, INAIL. Https://www.inail.it/nsol-static_informo/informo/pdf/ric2006_01_1_it.pdf.

[6] La classificazione di cui fa parte questa definizione è di Barry Turner studioso degli incidenti e dell’organizzazione 1976.

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