Repertorio Salute

Infortunio con una macchina impastatrice. Non bastano due settimane di pratica per fare un operaio esperto

Amputazione di una gamba con un erpice rotante dotato di coltelli a rotazione.


 

Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: FOTI GIACOMO
Data Udienza: 10/03/2015

Fatto

-1- E.G. è stato tratto a giudizio davanti al Tribunale di Tortona per rispondere del reato di lesioni colpose (art. 590 co. 1, 2, 3 in relazione all’art. 583 co. 1 e 2 cod. pen.) commesse, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio del dipendente E.B.S., e lo ha condannato, concessa l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 del codice penale con giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti contestate, alla pena, sospesa alle condizioni di legge, di tre mesi di reclusione.
E’ accaduto che E.B.S., il quale coadiuvava l’imputato nell’espletamento di lavori agricoli eseguiti con un erpice rotante dotato di coltelli a rotazione, essendo entrato nel campo di azione della suddetta macchina, ha riportato l’amputazione della gamba destra con indebolimento permanente dell’organo della deambulazione.
Secondo l’accusa, condivisa dal tribunale, l’incidente doveva ascriversi a colpa dell’imputato per colpa generica e specifica, quest’ultima individuata nell’avere lo stesso omesso di adottare misure organizzative atte ad evitare che lavoratori a piedi si trovassero nella zona d’azione di attrezzature pericolose semoventi, nonché di informare gli stessi lavoratori sui rischi derivanti dalla presenza di tali attrezzature. E.B.S., quindi, avendo appoggiato il piede destro sulla struttura dell’erpice, lasciato in movimento, era venuto a contatto accidentale con i coltelli ed aveva riportato le gravi lesioni sopra descritte.
-2- Su impugnazione proposta dall’E.G., la Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 10 febbraio 2014, ha confermato la decisione del primo giudice, concedendo tuttavia all’imputato il beneficio della non menzione della condanna.
-3- Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato, che deduce:
3.1- Vizio di motivazione della sentenza impugnata in punto di affermazione della penale responsabilità, riconosciuta, sostiene il ricorrente, sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa, che tuttavia possono essere utilizzate ai fini della decisione solo se sottoposte a rigoroso esame circa la loro credibilità oggettiva e soggettiva. Esame reso ancora più necessario nel caso di specie, avendo il dichiarante fatto un’affermazione non credibile, e cioè, “che lui pensava che la macchina fosse ferma”, laddove il rumore che la stessa produceva era tale che anche la persona più sprovveduta si sarebbe accorta che l’attrezzo era in movimento.
La condanna sarebbe stata altresì affermata anche sulla base della frase che l’imputato ha proferito in dibattimento, allorché, invitato a dichiarare se intendesse rispondere, ha affermato: “io non avrei niente da dire perché hanno detto com’era “. Affermazione che, si sostiene nel ricorso, non avrebbe dovuto essere utilizzata, in quanto proferita al di fuori di qualsivoglia schema processuale. Si è trattato, in ogni caso, di un’affermazione priva di rilievo.
3.2- Violazione di legge in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche.

Diritto

Il ricorso è infondato, ai limiti dell’inammissibilità.
-1- Inesistente è il vizio di motivazione dedotto con il primo dei motivi proposti.
La corte territoriale, invero, ha ribadito l’affermazione di responsabilità richiamando, non solo le precise dichiarazioni rese dalla persona offesa, ma l’intero contesto probatorio, costituito anche dalla testimonianza resa dall’ispettore Z., dalla documentazione, anche fotografica, in atti e dai giudizi espressi dal consulente del PM, medico legale incaricato di descrivere le lesioni riportate dal lavoratore.
Lo stesso ricorrente, d’altra parte, mette in dubbio la credibilità dell’E.B.S. solo perché egli aveva sostenuto di avere ritenuto che la macchina, che gli ha provocato le gravi lesioni sopra descritte, fosse ferma. Argomentazione che non vale certo a mettere in dubbio l’attendibilità della persona offesa, e la stessa ricostruzione dell’infortunio e delle sue cause, anche perché ribadite, secondo il coerente argomentare del giudice del gravame, da tutte le acquisizioni probatorie in atti.
Peraltro, sembra alla Corte ben comprensibile che una persona, assunta da pochissimi giorni e totalmente priva di esperienza nello specifico settore di lavoro, abbia erroneamente ritenuto che la macchina in questione fosse ferma, ovvero non si fosse resa conto del movimento delle lame e del loro raggio di azione. Errore che è evidentemente il frutto della mancanza di precise informazioni circa l’attività di lavoro che l’infortunato avrebbe dovuto svolgere ed i relativi rischi, nonché in ordine al pericolo rappresentato dalla presenza di attrezzi di lavoro e di macchine pericolose, pur se non direttamente utilizzate. Informazioni che spettava proprio all’imputato di fornire al suo dipendente, così come a lui spettava di coordinare il lavoro in maniera da evitare che qualcuno si trovasse nel raggio di azione delle lame.
Nessun rilievo ha, poi, il richiamo del giudice del gravame all’affermazione dell’imputato circa l’inutilità di sue dichiarazioni sull’incidente “perché hanno detto com’era”. Frase, pur correttamente interpretata dagli stessi giudici, che non ha alcun sostanziale rilievo ai fini della contestata decisione, che nasce da diversi e più concreti elementi probatori, ampiamente illustrati dalla corte territoriale, che a quella frase ha fato solo residuale riferimento.
-2- Quanto al punto relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche, la corte territoriale ha legittimamente ritenuto, pur con qualche improprio riferimento, che la gravità del fatto, anche per le gravi conseguenze che ne sono derivate, e la plurima violazione, da parte dell’imputato, dei doveri di formazione, informazione del dipendente appena assunto e di coordinamento del lavoro, che gli competevano in quanto datore di lavoro dell’operaio infortunato, non lo rendevano meritevole delle invocate attenuanti.
Considerazioni e valutazioni che certamente giustificano tale diniego e che non forniscono alimento ad alcuna delle dedotte censure, avendo la corte del rinvio correttamente esercitato il potere discrezionale che, in punto di riconoscimento delle predette attenuanti e, più in generale, di determinazione della pena, la legge attribuisce al giudice del merito.
Nulla, peraltro, rilevando che il giudicante non abbia preso in considerazione tutti o taluni dei criteri indicati dall’art. 133 cod. pen., né che difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato, posto che il diniego di dette circostanze può certamente basarsi sulle sole ragioni preponderanti della contestata decisione, nel caso di specie chiaramente riferite alla gravità dei fatti ed alla condotta dell’imputato; mentre dell’intervenuto risarcimento del danno i giudici hanno ben tenuto conto, avendo riconosciuto l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 del codice penale.
Il ricorso deve essere, dunque, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10/3/2015.

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