Fonte: Dott. Cristiano Ravalli (http://medicocompetente.blogspot.it)
Un bell’articolo illustrativo dello stato della Medicina ( e soprattutto dei medici) del Lavoro nel nostro Paese.
Ricorderete sicuramente la favola di Andersen in cui il re, truffato da loschi individui, si lascia convincere a farsi confezionare un abito in un tessuto pregiato che solo gli stolti non riescono a vedere. Sfila così tra la folla acclamante che finge di vedere un abito splendente. Il re però sfila nudo, convinto di indossare un abito incomparabile.
È la storia della moderna medicina del lavoro che è quindi nuda.
Più volte ho scritto su queste pagine, tra lo sfogo e la seduta di psicoterapia, che la medicina del lavoro, quella descritta dal Testo Unico, quella illustrata ai convegni, quella a cui tutti noi abbiamo dedicato 10 anni di studio, in realtà non esiste.
Per svolgere la medicina del lavoro, mediamente come viene svolta attualmente, è sufficiente la terza media.
È un sistema perfetto ed inutile. Perfetto perché non conviene a nessuno modificarlo ed inutile perché è privo di efficacia.
L’attuale medicina del lavoro è gestita da centri più o meno meno medici e sempre meno medici (società di consulenza, di formazione, global service) che, a colpi di ribasso, acquisiscono un contratto con un’azienda, definendo costi e prestazioni da erogare. Sulla base del contratto acquisito, cercano un medico competente che si adegua, al ribasso, alle prestazioni richieste. Adegua la propria prestazione, non al rispetto di una normativa ma al rispetto del compenso ricevuto.
Pertanto non importa se il piano sanitario non è congruo con i rischi, non importa se dovrà effettuare le visite con un lettino buttato tra le scrivanie, non importa se il documento di valutazione dei rischi è già tanto se lo vede, non importa se i sopralluoghi non vengono effettuati, non importa se le malattie professionali… malattie professionali chi?
È un sistema perfetto: l’azienda spunta una prestazione a basso costo e soddisfa un obbligo di legge, le società di consulenza si moltiplicano offrendo prestazioni a costi inferiori, i medici del lavoro si adeguano per lavorare. Nessuno può rompere questo cerchio perché nessuno ha interesse a romperlo.
È un sistema miliardario che muove un fatturato incredibile che ha rappresentanze sociali e politiche autorevoli. Tanto meno possono romperlo i lavoratori che sono uno dei due obiettivi della medicina del lavoro (oltre ai luoghi di lavoro) ma sono l’anello debole del sistema.
È solo l’ultima delle telefonate da me ricevute da parte di una nota società di consulenza nazionale che ha contratti in tutta Italia.
Buon giorno dottore, cerchiamo il medico competente su Milano per una società nazionale di trasporto ferroviario. Offriamo 30 euro a visita + 500 euro di forfait per l’incarico.
Le visite devono essere effettuate subito perché scadono.
Per i sopralluoghi?
chiedo io.
Non sono previsti.
Il DVR?
Ah ma noi non l’abbiamo! Le diamo il piano sanitario stabilito dal nostro coordinatore.
Le cartelle dei lavoratori?
Ah ma noi non abbiamo le cartelle precedenti. Le rifacciamo nuove. Guardi se vuole è così, altrimenti troviamo un altro medico. D’altra parte sono anni che lavoriamo così né i nostri medici ci hanno fatto storie sul DVR o sulle cartelle.
Purtroppo questa non è un’eccezione ma una regola e riassume bene la realtà.
D’altra parte è il concetto di medico competente del Testo Unico che ha creato questa mostruosità.
Da una parte si eleva il medico competente a figura indipendente che deve collaborare, informare, segnalare, visitare, formare, rilasciare, consegnare, visionare, vigilare, richiedere… deve insomma inserirsi nell’organizzazione aziendale al fine di tutelare la salute dei lavoratori. Dall’altra stabilisce che è retribuito dal datore di lavoro e che l’incarico può essere intermediato da società terze.
Il risultato di questo conflitto di interesse, grande come una montagna, ha portato ad una selezione naturale di medici “adattabili”, “compiacenti”, “sordi e ciechi”.
Esiste una responsabilità? Chi sono i “loschi individui” che hanno convinto il re che il vestito che gli stanno confezionando è un tessuto magico che solo gli stolti non riescono a vedere?
La risposta è sotto i nostri occhi. I colpevoli siamo noi.
Siamo noi medici del lavoro che ci siamo adeguati a questo sistema perverso senza battere ciglio, mal supportati dalle nostre associazioni.
I medici del lavoro italiani hanno di fatto delegato a terzi il proprio ruolo stabilito da una norma. Abbiamo quindi rinunciato ad esercitare i doveri sanciti dal Testo Unico in nome dell’italico “tengo famiglia” “devo lavorare”, perdendo di vista l’obiettivo: la tutela della salute ed il rispetto della norma. Se l’obiettivo diventa “devo lavorare”, cambia tutto il percorso.
Quando discuto con qualche collega, ricorre sempre la frase “bisogna trovare un compromesso”. Dimenticano i colleghi che non partecipare alla formazione dei lavoratori non è un compromesso ma è stabilito dalla legge. Non effettuare i sopralluoghi non è un compromesso, è una violazione di legge. Non denunciare una malattia professionale non è un compromesso per non creare problemi, è un reato penale. Effettuare le visite su sedie, scrivanie, su lettini aperti negli spogliatoi e nelle sale riunioni, non è un compromesso, è effettuare una pratica medica indegna. Non collaborare alla valutazione dei rischi non è un compromesso, è un obbligo del medico. Far effettuare le visite mediche da altri colleghi non è un compromesso ma una violazione di legge.
L’accidia dei medici del lavoro italiani è inspiegabile. In Italia ci sono 6500 medici inseriti nell’elenco nazionale e quindi autorizzati ad assumere incarichi con le aziende. Siamo l’unico paese al mondo in cui un lavoro, su una popolazione di 63 milioni, può essere svolto solo da 6500 soggetti. Un monopolio incredibile. Eppure ci sono medici che accettano incarichi di medico competente da 10 euro a visita. Perchè?
Da una parte perchè i medici del lavoro italiani non hanno mai avuto fiducia in sè stessi ed hanno delegato ad altri il proprio ruolo.
Dall’altra parte il regime di monopolio ha determinato lo sviluppo di un business sicuro: si sono costituite società di gestione della medicina del lavoro che, grazie all’azione di marketing ed alla concorrenza selvaggia, hanno invaso il mercato e si affrontano a colpi di ribasso pur di accaparrarsi un contratto.
Le associazioni di medicina del lavoro hanno mancato perchè, sorde alle richieste di aiuto che venivano dal territorio, si sono dedicate, come l’orchestrina del Titanic, alla formazione, agli ECM. Quindi mentre sul territorio la medicina del lavoro significa fare le visite e le idoneità per telefono (e non è uno scherzo), le associazioni propongono costosi corsi di formazione di eccellenza. Poi all’interno di queste associazioni si sono costituiti gruppi di lavoro aventi come oggetto la valorizzazione del medico competente ma l’unica valorizzazione che hanno ottenuto è la loro, nell’ambito della stessa associazione.
Invece le imprese che gestiscono la medicina del lavoro si sono organizzate in associazioni e l’ironia vuole che i loro rappresentanti siano continuamente invitati ai convegni dei medici del lavoro: “scusate ma stasera sono impegnato: vado a cena con il mio assassino”.
I coordinatori dei medici competenti. Qui si apre la voragine. Hanno trasformato il proprio ruolo di coordinamento ed uniformità in attività di consulenza legale alle aziende. Il loro ruolo è divenuto quello di “ricordare” ai medici quelli che prima abbiamo chiamato “i compromessi”. E allora li vediamo impegnati a stravolgere i criteri di idoneità per soddisfare le esigenze aziendali. Li vediamo impegnati a stabilire i criteri secondo i quali il medico “può” effettuare una denuncia di malattia professionale. Criteri che, ovviamente, vengono costruiti al contrario: come rendere impossibile la denuncia di malattia professionale. Soggetti quindi che, in nome di contratti stratosferici di consulenza, hanno stravolto il loro ruolo che la norma aveva individuato.
Quindi noi medici del lavoro non possiamo proprio lamentarci: se siamo in questa condizione lo dobbiamo solo a noi stessi. Occorre adattarsi a questa situazione, trascinarci come fantasmi nello svolgere qualcosa che tutti percepiamo come inutile, marcio, indecoroso ma che pochi hanno il coraggio di riconoscere.
Per tutti gli altri, per tutti i “disadattati” ci sono 3 strade: cambiare lavoro, cambiare paese, fallire.
Ed è su questa amara conclusione che qui cessa la mia attività. Per chi ha avuto la pazienza di leggere questo lungo post di congedo, per chi da anni segue questo blog che in forma gratuita, indipendente, senza pubblicità, ha voluto mettere a disposizione di tutti: materiale, opinioni, approfondimenti (lavoro che avrebbe dovuto essere svolto dalle associazioni di medicina del lavoro)… per chi ha avuto la pazienza di arrivare fino a qui, volevo annunciarvi che questo è il mio ultimo post.
Qui si ferma il blog e qui mi fermo io come professionista per le ragioni che vi ho illustrato sopra, perchè non voglio trasformarmi in uno zombie che si alza la mattina con l’idea di andare a fare qualche cosa di inutile, aspettando il venerdì, le vacanze, la pensione.
Lascerò il blog attivo ma non più aggiornato fino a quando mi renderò conto che sarà obsoleto e quindi non più utile agli utenti e quindi lo farò decadere.
Un forte grazie alle 600.000 pagine visitate, dietro alle quali ci sono persone che cercavano una risposta e forse, grazie al blog, l’hanno trovata o hanno trovato uno spunto di riflessione o di critica.
Quanto a me… la mia è una rinuncia, il fallimento professionale di un’idea, di un progetto… avrei voluto fare di più per la medicina del lavoro e per questo paese, ci ho provato… per il resto scusatemi!