Le aziende hanno spesso un loro sistema di qualità. Alcune possiedono anche un sistema di gestione (ex. Art. 30) sui temi della salute e della sicurezza. Credo che tutti si siano accorti che molte delle pratiche e delle attività previste dai due sistemi, sostanzialmente, si sovrappongono. Per questo si sta facendo avanti l’idea di un approccio integrato.
Contraria all’integrazione c’era stata finora non solo una resistenza di tipo culturale e pratica, ma pure di standard.
Quella culturale scaturiva dalla pervicace convinzione che la produzione da un lato e la salute e la sicurezza dall’altro sono piani molto diversi. Quella pratica, legata anch’essa a un certo tipo di cultura aziendale, dipendeva dal fatto che anche la Certificazione di qualità e quella sulla sicurezza venivano ricercate non sulla base di una convinzione, ma solo per meglio competere in gare pubbliche, le quali danno spesso punteggi migliori a chi presenta certificazioni di questo tipo.
Per ultima la questione dello standard.
La certificazione di qualità è regolata da una norma internazionale, UNI EN ISO 9001, la quale definisce i requisiti di un sistema di gestione per la qualità di un’organizzazione.
Il tema della prevenzione è regolato dalla OHSAS 18001. L’acronimo OHSAS sta per Occupational Health and Safety Assessment Series e identifica uno standard inglese. Malgrado lo standard sia solo britannico, la certificazione OHSAS 18001 in Italia ha avuto un vero e proprio exploit.
Le certificazioni emesse fino ad aprile 2011 erano state 2035. Sei anni dopo, nel 2017, sono triplicati diventando 6140.
Quest’anno anche il sistema inglese si è trasformato in uno standard internazionale, e si prepara a diventare la ISO 45001, pubblicata per la prima volta il 12 marzo 2018.
Una volta superata questa differenza di status tra norme di certificazione, la speranza è che aumentino ancora e di molto le aziende che optino per la costruzione integrata di un sistema gestionale interno su qualità e salute e sicurezza.
Perché questo sarebbe auspicabile? Per un motivo semplice. Una azienda con un sistema gestionale dimostra di aver capito due cose: l’importanza delle politiche di prevenzione e la loro assoluta parità con le altre tematiche legate alla produzione di beni o servizi.
Disegnando compiti, pesi, responsabilità, procedure relative alle politiche di prevenzione e al benessere e integrandole a quelle che regolano il processo produttivo si compie la sintesi che porta all’innalzamento complessivo dei processi aziendali.
Le aziende, specie quelle esposte alla concorrenza internazionale, guardano giustamente al contenimento dei costi di produzione. Quello di cui spesso però non tengono conto è che il costo della bassa qualità dell’ambiente di lavoro e delle relazioni lavorative incide pesantemente anche sulla produzione. Un costo occulto, ma spesso alto, che una valutazione meramente ragionieristica non sempre riesce a far emergere.
Due esempi.
Considerate un ambiente produttivo dove si guarda al tema salute solo dal punto di vista formale. Il DVR c’è, formalmente inappuntabile, di molte pagine, puntiglioso. La formazione è stata fatta, non importa dove e come, ma è stata scrupolosamente eseguita nel numero di ore previste, rispettando i programmi indicati. Tutto a posto? Neanche per sogno. L’impostazione formale porta a fornire indicazioni spesso contraddittorie che creano confusione e quindi costi.
L’imperativo è: “raggiungete gli obiettivi produttivi, ma rispettate rigorosamente le norme di sicurezza”. Ma se le procedure lavorative non sono state vagliate anche dal punto di vista della sicurezza come fanno i lavoratori a rispettare “rigorosamente” le norme di sicurezza? Se non si è testata l’efficacia della formazione accontentandosi dell’acquisizione degli attestati previsti, come si fa a richiedere rigore? E ancora, se i Dpi (Dispositivi di Protezione Individuale) sono stati scelti sulla base del loro costo e non dell’efficienza, quale rispetto delle norme si invoca?
Altro esempio. Spesso oggi le aziende tengono a costruire una propria immagine presso la clientela. La certificazione di qualità aiuta anche in questa direzione. Ma se poi non si ha attenzione a integrare la certificazione di qualità con quella della prevenzione e capita un incidente o un infortunio, che fine fa l’immagine così attentamente costruita e i relativi costi sostenuti?
Tale atteggiamenti, lo ripetiamo ancora, non fanno altro che favorire la burocratizzazione della funzione, l’impossibilità di incidere sui processi decisionali specifici, la deresponsabilizzazione degli altri settori aziendali, rinforzando, in questi ultimi, la convinzione che chi si occupa di sicurezza e tutela della salute in azienda sia solo un elemento di disturbo alle normali attività aziendali. Aziende che mantengono questo approccio e non riescono a sviluppare una vera e propria cultura aziendale su queste tematiche sono destinate, in tempi brevi, a veder vanificati gli sforzi e quanto investito.
Il problema di fondo diventa dunque quello di modificare un comportamento imposto, e non sempre condiviso, in uno pienamente accettato.
In questa fase giocano un ruolo importantissimo i vertici aziendali. Può sembrare una banalità, ma questi devono fare due cose semplicissime, e cioè essere esempio e leader per i propri collaboratori.
In conclusione, l’obiettivo primario di un’azienda che voglia implementare un sistema integrato tra qualità e sicurezza non è quello di redigere un manuale e delle procedure per ottenere un ambito pezzo di carta con tanto di marchietto da inserire sulla carta intestata dell’azienda o sulle fiancate dei mezzi aziendali, ma quello di modificare la cultura aziendale, dal top management all’ultimo assunto, concretizzandola in una organizzazione progettata per dare il massimo della qualità produttiva e il massimo della sicurezza del lavoro.