La partecipazione perché?

Dalla fine degli anni ’80, prima a livello comunitario poi nazionale, la legislazione ha introdotto misure organizzative finalizzate alla valutazione e gestione  dei rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro in grado di  far fronte alle caratteristiche che sempre più  chiaramente i rischi lavorativi presentano, in quanto determinati non solo dai noti fattori di rischio fisici, chimici, biologici e strutturali, ma piuttosto da fattori organizzativi e a carattere psicosociale (ritmi, picchi produttivi, flessibilità, precarietà, mancanza di procedure lavorative, scarsa/assente informazione e formazione, scarsa/assente comunicazione a livello aziendale, scarsa/assente partecipazione dei lavoratori, ecc).

L’applicazione non formale (quindi non solo cartacea bensì concreta) delle misure organizzative e gestionali è tuttavia  questione non ancora risolta e risulta  ancora che:

  • le imprese hanno difficoltà a gestire la prevenzione dei rischi per la salute e sicurezza in maniera integrata con la gestione dell’impresa dal punto di vista produttivo
  • non adottano procedure coerenti con gli obiettivi di prevenzione previsti dalle norme,
  • non praticano  il monitoraggio continuo delle condizioni di lavoro e la programmazione delle misure di prevenzione e protzione
  • le relazioni aziendali sono viste spesso più come un obbligo che come un elemento di efficacia e di efficienza del sistema di gestione.

Fatta eccezione per quelle aziende in cui la cultura aziendale si è evoluta – che  quindi puntano ad una integrazione del sistema di produzione e di quello della prevenzione e spesso insieme  della qualità e dell’ambiente – in molte  imprese quel che risulta carente è proprio la capacità gestionale con le ricadute che questo ha sulla organizzazione del lavoro e sulle relazioni non comunicative  tra le diverse figure aziendali preposte alla produzione e alla prevenzione: investimenti per nuove attrezzature o per migliorare gli ambienti di lavoro e, talvolta, anche per la formazione al di fuori di una revisione della cultura d’impresa che dia valore e consideri la prevenzione come un’opportunità, rischiano in realtà di essere inutili.  Il che significa, quindi, che spesso le imprese affrontano costi, innegabili, per rispettare le misure previste dalla normativa vigente senza avere quei vantaggi che una loro applicazione sostanziale darebbe sia sul terreno  di migliori condizioni per i lavoratori  che  di una migliore complessiva performance dell’impresa.

Ma c’è qualcosa di più che forse possiamo dire su questo tema le imprese italiane, anche quelle che adottano sempre più numerose sistemi di gestione della qualità del prodotto e  del processo e sistemi di gestione ambientale, spesso lamentano un coinvolgimento insoddisfacente dei lavoratori; mentre  i lavoratori a loro volta, e in particolare i loro rappresentanti con competenza specifica  (Rls), lamentano un insoddisfacente coinvolgimento sul terreno dei diritti di formazione  informazione, in particolare per quanto riguarda gli aspetti legati alla salute e alla sicurezza.

Ci sono quindi difficoltà sui due fronti, delle imprese e dei lavoratori, nel realizzare concretamente i cambiamenti organizzativi nella gestione aziendale  che  pur la legge prevede, tutto  questo a causa dei limiti di una cultura d’impresa fondata ancora su una visione eccessivamente gerarchica:

  • che distingue ancora troppo nettamente chi decide da chi esegue,
  • che crede che la trasmissione delle conoscenze e dell’informazione sia sempre dall’alto verso il basso,
  • che crede che si possano raggiungere obiettivi soddisfacenti senza il coinvolgimento consapevole di chi al raggiungimento di tali obiettivi contribuisce in prima battuta.

È in sostanza necessario sviluppare una cultura della partecipazione alla gestione delle imprese molto più ampia, la cui carenza influenza negativamente lo sviluppo della partecipazione sui temi della salute e sicurezza e quindi il miglioramento delle condizioni di lavoro. Le Organizzazioni sindacali e le Associazioni datoriali hanno un grande compito da affrontare ed assolvere su questi temi nel nostro Paese – e in numerosi Paesi dell’Unione europea  -prendendo ad esempio le pratiche partecipative dei Paesi dell’area scandinava.

Importanti novità legislative hanno recentemente aperto la strada a un miglioramento dei livelli di partecipazione aziendale vedi in questo sito l’articolo Coinvolgimento paritetico dei lavoratori, di Daniele Ranieri, pubblicato il 16 maggio 2016.

Attualmente su questi temi l’Inail  sta indagando, con un’attenzione che dimostra una rinnovata sensibilità nei confronti del ruolo degli Rls e dei livelli di partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti  alla gestione aziendale della salute e della sicurezza, tenendo conto delle “nuove sfide legate ai cambiamenti del mondo del lavoro”.

Il progetto Insula e l’indagine Impact-RLS.

Una  prima indagine, rivolta a tutte le figure della prevenzione, è stata condotta nel 2014 nell’ambito del progetto Insula ed è poi proseguita nel 2015-2016  con il progetto Indagine sui modelli partecipativi aziendali e territoriali per la salute e la sicurezza sul lavoro: il ruolo dei Rls e le interazioni con gli attori della prevenzione (Impact-RLS). La ricerc,a  finanziata dall’Istituto all’interno del Bando ricerche in collaborazione (Bric) 2015,  è stata affidata al Politecnico di Milano, che ne ha curato il coordinamento scientifico, insieme con la  Fondazione Di Vittorio, l’Università di Perugia,  con il coinvolgimento diretto dei sindacati.

Nell’ambito della ricerca sono stati interrogati,  mediante due questionari  specifici, Rls e Rlst – fornendo un supporto on line e telefonico per la compilazione –  e mediante interviste approfondite  gli Rlspp (Rls  di sito produttivo):

  • 2.109 Rls che costituiscono un campione rappresentativo  a livello nazionale  coprendo tutte le dimensioni di impresa tipologie e settori aziendali
  • 115 Rlst distribuiti omogeneamente sul territorio nazionale
  • 10 casi studio sul Rlssp (Rls  di sito produttivo)

Dai risultati di questa ricerca emerge, in particolare, che “a quasi 10 anni dal Testo unico sulla sicurezza (D.Lgs. 81/2008) permangono delle difficoltà per l’assunzione di un ruolo attivo del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Una condizione condivisa tra realtà aziendali diverse per settore, dimensione e maturità del sistema di organizzazione e gestione interna della salute e sicurezza sul lavoro. In molti casi, infatti, il Rls è ancora oggi ostacolato da fattori che impediscono l’affermazione di un ruolo attivo e partecipativo, soprattutto a causa di sistemi di gestione della salute e della sicurezza immaturi, che ostacolano i diritti di informazione, consultazione e partecipazione, assi portanti di un sistema di prevenzione condiviso. Esiste, tuttavia, una quota non marginale di unità produttive con sistemi di gestione maturi e fondati su un modello partecipativo virtuoso, che riconosce il contributo specifico ed essenziale di ogni attore della prevenzione. Dall’indagine  emerge che a questo tipo di realtà è associata una maggiore probabilità di migliori prestazioni di SSL”. Per usare le parole del responsabile del Dipartimento di Medicina Epidemiologia Igiene del Lavoro ed Ambientale, Sergio Iavicoli, “ormai è evidente che nelle realtà in cui i Rls rivestono un ruolo importante, sul piano concreto e non soltanto formale, ci sono ricadute positive per la salute e la sicurezza dei lavoratori”.

La ricerca ha consentito di sperimentare una metodologia completa che può costituire una base di partenza per sviluppare un’indagine periodica sul ruolo dei Rls, funzionale a monitorare le condizioni in cui opera e a promuovere strategie di intervento basate su evidenze empiriche e mirate al miglioramento nel tempo dei livelli di SSL.

Le indagini promosse dall’Inail tengono  conto delle ripercussioni che hanno sulla gestione della salute e della sicurezza i rapidi cambiamenti nel mondo del lavoro: dal progressivo invecchiamento della popolazione attiva all’aumento della precarietà, dalla novità dello smart working (modalità flessibile di impiego che consente di eseguire una parte del lavoro in un luogo diverso dall’ufficio) alle innovazioni tecnologiche introdotte o in corso di attuazione proprie della attuale “quarta  rivoluzione industriale”.

Su questi temi e sulla domanda di sostegno, di informazione, di formazione da parte delle imprese, dei lavoratori e dei loro rappresentanti ci soffermeremo nei prossimi articoli di questa rubrica.

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