La prevenzione e il referendum del 4 dicembre

È bene partire da una premessa: il punto di vista da cui guardiamo al referendum non può che essere la riforma del Titolo V, quella parte della Costituzione italiana in cui vengono “disegnate” le autonomie locali (comuni, province e regioni) e le loro competenze, in particolare quelle “concorrenti” con lo Stato.

L’attuale struttura della Legge deriva una serie di riforme del Titolo V avviate negli anni Settanta e terminate con la riforma del 2001 (approvata con una maggioranza di centrosinistra e poi confermata da un referendum popolare a larga maggioranza). Lo scopo di tutte queste riforme, compresa quella del 2001, era dare allo Stato italiano una fisionomia più “federalista”, nella quale i centri di spesa e di decisione si sarebbero spostati dai livelli più alti, lo Stato centrale, a quelli più locali, “avvicinandosi” così ai cittadini.

Nel corso degli anni le regioni hanno ricevuto sempre più competenze (la più importante è la gestione della sanità) e una sempre maggiore autonomia. Con la riforma del 2001, in particolare, alle regioni fu garantita autonomia in campo finanziario (con cui poter decidere liberamente come spendere i loro soldi come le addizionali) e organizzativo (con cui poter decidere quanti consiglieri e quanti assessori avere e quanto pagarli). La riforma, inoltre, specificò quali erano le competenze esclusive dello Stato, lasciando alle regioni il compito di occuparsi di tutte quelle non nominate esplicitamente. Tra le competenze decentrate rientrava il tema della salute e della sicurezza dei lavoratori.

La situazione attuale ha soddisfatto i cittadini italiani? La risposta quasi unanime è no. Nel tempo sono emersi diversi problemi. Uno, per esempio, è che lasciando alle regioni tutte le materie la cui competenza non è esclusiva dello Stato si sono creati numerosi contenziosi tra regioni e Stato. La Corte Costituzionale, dopo 15 anni di numerose chiamate a giudizio, aveva stilato una griglia di orientamento che ha ridotto il numero dei contenziosi. Ciò ha sicuramente permesso alla Corte di impegnarsi di meno su questi contrasti, ma la situazione di confusione è rimasta e produce comunque danni.

Un secondo punto importante riguarda l’aspetto fiscale. Le imposte che vengono innalzate per riparare ai buchi nei bilanci regionali sono imposte statali; aumentano per decisione del Parlamento (che si prende anche tutte le critiche). Molto spesso lo Stato aiuta direttamente le regioni, prelevando il denaro dalla fiscalità generale (quella che pagano tutti i cittadini) e utilizzandolo per ripianare le perdite di una sola regione. In questo modo si toglie anche agli abitanti della regione l’incentivo a punire gli amministratori locali inefficienti.

Il terzo punto, centrale per il nostro argomento di interesse, è la disomogeneità. Ogni regione tende a sviluppare politiche autonome, legislazioni diversificate e anche interpretazioni di leggi statali, compreso il cosiddetto Testo Unico, in modo a volte eccessivamente libero. Il risultato è un secondo livello di caos a cui se ne aggiunge un terzo prodotto dai diversi modi di procedere dei Servizi di prevenzione territoriali delle Asl. Il risultato è che una azienda che ha diverse filiali nella stessa regione e alcune in altre regioni italiane a volte è in difficoltà nel capire cosa fare, come muoversi e in che direzione programmare la propria politica di prevenzione.

Qualcuno obietterà che la Conferenza Stato Regioni avrebbe potuto risolvere questi aspetti avendo il compito di coordinare, ma ora abbiamo sotto gli occhi come è andata a finire. Gli Accordi raggiunti sono stati pochi, e dopo mesi di trattative estenuanti hanno contribuito piuttosto alla confusione normativa e procedurale. Ad ogni Accordo è dovuto seguirne un altro di rettifica e chiarimento. Come se non bastasse, alla mediazione tra il Governo e le parti sociali si sono aggiunte le mediazioni, in genere al ribasso, con le Regioni.

Va sottolineato con forza che nessuna forza politica, neanche la Lega Nord, ha contestato, durante il lunghissimo iter di approvazione della proposta di Riforma, con ben sei votazioni parlamentari, la necessità di mantenere per le regioni il tema della prevenzione nei luoghi di lavoro. Non è stato presentato un solo emendamento tra i milioni che pure sono stati avanzati. Questo rafforza l’idea che tutti si sono resi conto del pasticcio giuridico creato nel 2001.

Con la proposta referendaria si ritorna a una precisa definizione legislativa delle materie espressamente di esclusiva competenza dello Stato e di quelle di competenza delle Regioni. Viene posta la parola fine alla “legislazione concorrente” abrogandone la sua denominazione all’art. 117.

Ora staremo a vedere se si riuscirà ad ottenere anche in Italia un sistema di salute e sicurezza uguale per tutti.

 

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