Repertorio Salute

La responsabilità penale del medico competente

Secondo la definizione fornita dal D.lgs. n. 81 del 2008, art.2, lett. h),  il “medico competente” è il professionista dotato dei titoli e dei requisiti formativi e professionali di cui all’art. 38 del predetto  T.U. che, ai sensi dell’art. 29, comma 1, collabora con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed è nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per assolvere a tutti gli altri compiti di cui al decreto n. 81/2008.L’attività di collaborazione del medico competente, rispetto a quanto previsto  dall’abrogato art. 17  D.lgs. 626 del 1994, risulta ampliata dal  D.lgs. n. 81 del 2008 che, secondo il disposto dell’art. 25, la estende anche alla programmazione (ove necessaria) della sorveglianza sanitaria, all’attività di formazione ed informazione nei confronti dei lavoratori per la parte di competenza e alla organizzazione del servizio di primo soccorso, considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro.Partendo da tali premesse, la più recente giurisprudenza di legittimità (cass. pen. sez. III, sentenza 15.01.2013 n.1856), intervenuta per definire l’ambito della responsabilità penale del medico competente previsto dal combinato disposto degli artt. 25 comma 1, lett. a) e 58, comma 1), lett. e),   ha statuito il seguente principio di diritto: “Il ruolo di “collaborazione” con il datore di lavoro attribuito al medico competente, la cui inosservanza è sanzionata espressamente dall’art. 58, comma 1, lett. c), d.lg. 9 aprile 2008 n. 81, “con riferimento alla valutazione dei rischi”, non può essere limitato a un ruolo meramente passivo in assenza di opportuna sollecitazione da parte del datore di lavoro, ma va inteso ed esercitato anche mediante una attività propositiva e di informazione che il medico deve svolgere con riferimento al proprio ambito professionale e il cui adempimento può essere opportunamente documentato o comunque accertato dal giudice caso per caso. Del resto, in tema di valutazione dei rischi, il medico competente assume elementi di valutazione non soltanto dalle informazioni che devono essere fornite dal datore di lavoro (cfr. art. 18, comma 2, d.lg. n. 81 del 2008), ma anche da quelle che può e deve direttamente acquisire di sua iniziativa, ad esempio in occasione delle visite agli ambienti di lavoro di cui all’ art. 25, lett. l dello stesso decreto o da quelle fornitegli direttamente dai lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria o da altri soggetti”.Per comprendere la portata concreta della predetta pronunzia si segnala che la fattispecie concreta oggetto di disamina da parte della Corte di legittimità, si riferiva alla penale responsabilità affermata dal Tribunale Penale di Pisa in composizione monocratica in data 01.12.2011 nei confronti di una dottoressa che ricopriva l’incarico di  “medico competente” presso un’azienda, per non aver collaborato con il datore e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi e all’attività di formazione informazione nei confronti dei lavoratori.La difesa dell’imputata, con l’interposto ricorso, aveva dedotto la violazione di legge da parte del Giudice di prime cure, assumendo che il Tribunale di Pisa aveva interpretato estensivamente l’ambito della condotta punibile oltre quanto previsto dalle norme sopra richiamate, sostenendo la diversa tesi, peraltro elaborata da autorevole dottrina, secondo la quale l’ambito di imputazione della responsabilità doveva essere limitato ai compiti affidatigli dai soggetti obbligati in via principale (datore di lavoro o responsabile della sicurezza), ai quali spetta chiedere la collaborazione del medico competente.La Suprema corte, affermando il difforme principio di diritto sintetizzato nella massima sopra riportata, che il lettore potrà approfondire leggendo l’ampia motivazione redatta nella sentenza allegata per esteso (all.1) ha, quindi, fornito una rigorosa linea di interpretazione del ruolo del medico competente e della relativa responsabilità penale, che potrà essere affermata qualora dall’istruttoria dibattimentale emerga  una colpevole omissione in ordine alla valutazione dei rischi da parte del medico competente da verificare di propria iniziativa in occasione delle visite agli ambienti di lavoro di cui all’art. 25, lett. I), ovvero perché fornitegli direttamente dai lavoratori sottoposti alla vigilanza sanitaria, oppure da altri soggetti che operano all’interno dell’impresa.Orbene, tenuto conto che l’illustrato principio di diritto, attualmente costituisce il paradigma di riferimento in ordine all’interpretazione delle norme di cui al combinato disposto degli artt. 25 comma 1, lett. a) e 58, comma 1), lett. e), sia per le Procure della Repubblica nella fase delle indagini preliminari, sia per i giudici di merito che devono dichiarare il diritto nel caso concreto, la regola cautelare di condotta consigliata è quella che coincide con l’espressione del più alto livello di professionalità, anche in termini di autotutela.Conseguentemente, il medico competente, nella prospettiva della piena collaborazione con il datore di lavoro che lo nomina quale proprio consulente, dovrà eseguire i compiti da quest’ultimo assegnatigli e adempiere a quanto prescritto dalla legge, per perseguire l’obiettivo dell’eliminazione o comunque la più alta riduzione possibile dei rischi sanitari legati all’attività di sorveglianza (art, 41 T.U.), avendo però al contempo l’accortezza di documentare per tabulas l’attività svolta con atto ricettizio (regolarmente sottoscritto ed avente data certa, ad a mezzo raccomandata A.R) da inviare ai  soggetti che hanno potere decisionale e di spesa all’interno dell’impresa, specificando l’attività svolta e quella da svolgere, con l’indicazione degli eventuali rimedi da porre in essere.Tutto ciò nella prospettiva processuale, qualora venga elevata comunque imputazione a carico del medico competente per una delle fattispecie  di reato previste  dall’art. 58, comma 1, alle lettere a, b,c) del  d.lg. 9 aprile 2008 n. 81,   costituisce il presupposto indefettibile per adottare una corretta e prudenziale linea difensiva che tenga conto dell’attuale orientamento giurisprudenziale, consentendo di perseguire l’obiettivo della piena assoluzione per difetto della condotta colposa ascritta all’imputato ovvero, in subordine, per poter accedere all’istituto dell’oblazione con conseguente estinzione del reato, che comporta una valutazione  discrezionale del giudice (acquisito il parere favorevole del PM) secondo quanto disposto dall’art. 141 disp. att. c.p.p., trattandosi di reati contravvenzionale puniti con pena alternativa (ammenda o arresto).

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