Repertorio Salute

La salute e sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici ai tempi della IV Rivoluzione Industriale

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La salute e sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici ai tempi della IV Rivoluzione industriale
Libro Verde

Il Libro Verde, presentato da Adapt e da Deal, propone per un confronto e un approfondimento le  riflessioni emerse nell’ambito del Progetto di ricerca sui temi di salute e sicurezza sul lavoro alla luce della IV Rivoluzione industriale condotto dal Centro Studi Diritto Economia Ambiente Lavoro (DEAL) della Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia in collaborazione con ADAPT per conto dell’Inail.

In premessa i ricercatori specificano

come il concetto stesso di IV Rivoluzione industriale non possa limitarsi, come opinione ancora comune, dentro lo schema della Industria 4.0 e il modello sottostante di «Fabbrica intelligente». La digitalizzazione e la nuova manifattura intervengono infatti, direttamente e indirettamente, su tutta l’economia e la società, dando avvio a profonde trasformazioni di natura non solo tecnologica ma anche demografica e ambientale che impongono ora soluzioni nuove rispetto a problemi e rischi emergenti.

Il Libro Verde pertanto considera il mondo del lavoro ben oltre i confini della fabbrica  e oltre lo stretto concetto di “lavoro produttivo”.

Con il Libro Verde si intende avviare un confronto pubblico che possa produrre la formulazione di soluzioni il più possibile condivise e la redazione di un successivo Libro Bianco in grado di offrire indicazioni anche normative in materia di salute e sicurezza e in ambito previdenziale, oltre a spunti per iniziative delle parti sociali.  Analizziamo di seguito alcune delle diverse  tematiche proposte  rinviando al testo del Libro Verde, che alleghiamo, per un approfondimento.

Rischi ed opportunità

Si discute ormai da tempo e cominciano ad essere noti “rischi ed opportunità“ legati alla diffusa  introduzione delle Tecnologie dell’Informazione e Comunicazione (ICT) nel mondo del lavoro: ne emerge un quadro complesso che se vede ridotti alcuni rischi quali le esposizioni a sostanze, il lavoro  in ambienti confinati, la movimentazione di carichi, vede però crescere problematiche connesse all’interazione uomo macchina, ad un’organizzazione del lavoro sempre più flessibile così come a rapporti di lavoro altrettanto flessibili. La perdita dei riferimenti spazio temporali per molti lavoratori che hanno avuto accesso al lavoro agile (notoriamente aumentato a dismisura in questo ultimo anno [1]) comporta, con riferimento alla tutela della loro salute e sicurezza, una serie di interrogativi che vanno dall’attribuzioni delle responsabilità, alle modalità di verifica delle condizioni di lavoro, al possibile insorgere di una

ampia gamma di rischi psicosociali segnalati dalla letteratura scientifica e bene emersi, con la pandemia, rispetto alla modalità di lavoro c.d. agile (isolamento, stress lavoro-correlato, controllo sulla persona del lavoratore).

Come cambia il lavoro

Da decenni, affermano i ricercatori, si registra per i processi di automazione e per la diffusione della robotica un calo continuo del lavoro produttivo nelle fabbriche e la crescita, anche per l’invecchiamento della popolazione, del lavoro di cura, di assistenza alla famiglia e agli anziani. Così come lo sviluppo di tutte le attività connesse all’utilizzo delle piattaforme caratterizzato dal

venir meno dei principali indici di riconduzione della prestazione di lavoro alla subordinazione o, comunque, al lavoro etero-organizzato dal committente (fattispecie disciplinata in Italia da standard di tutela analoghi a quelli del lavoro dipendente).

Lo stesso concetto di salute va  riconsiderato, o meglio va portato a conseguenza quanto noto (ormai da molto tempo) sullo stretto legame tra benessere individuale, condizioni lavorative e ambientali sia di carattere fisico che socio culturale: la promozione della salute – tematica con cui si è tentato di saldare le condizioni di vita e quelle di lavoro ai fini della prevenzione, ad esempio, dei danni all’apparato muscoloscheletrico o dello stress e della fatica mentale – diviene un ottica centrale in cui sono le persone nel loro complesso ad essere interessate alla propria salute  ma non certo le uniche responsabili.

Alla luce di queste premesse per istituzioni e soggetti del mondo del lavoro  (non solo i datori di lavoro ma ad esempio produttori di tecnologie, addestratori all’utilizzo e formatori) non si delineano, in particolare in questa intensa fase di cambiamenti e potenti innovazioni:

  • nuove forme di responsabilità,
  • obblighi di sostegno e di accompagnamento,
  • impegno nella progettazione e attuazione di efficaci iniziative formative?
Alcune domande su cui il dibattito pubblico è chiamato ad intervenire…
  • Quali interventi normativi (di legge o di contratto collettivo) possono essere utili per supportare i processi di innovazione in questo ambito? È ragionevole una politica di incentivi per accompagnare la transizione tecnologica e l’alfabetizzazione digitale dei lavoratori o servono in primo luogo misure di eterotutela o, anche, vincoli e controlli in modo da evitare una diffusione incontrollata nei luoghi di lavoro?
  • Esiste uno spazio per le relazioni industriali per governare questi processi o le tematiche di salute e sicurezza saranno sempre più affidate a logiche civilistiche di responsabilità contrattuale e risarcimento del danno, aprendo spazio, in parallelo, a una rifondazione del sistema previdenziale e assicurativo ovvero alla responsabilità dei produttori di queste tecnologie?
  • I nuovi rischi sono gestibili dal solo datore di lavoro o richiedono una corresponsabilizzazione delle istituzioni pubbliche o dello stesso lavoratore là dove la prestazione di lavoro venga resa senza precisi riferimenti quanto ai tempi e ai luoghi di lavoro o con l’intervento di macchine e tecnologie intelligenti?
    È sostenibile un impianto di tutele di salute e sicurezza ancora centrato sulla tipologia contrattuale e sulla forma di lavoro e non sulla tutela della persona nel suo mutevole rapporto col lavoro?
  • È possibile adattare un impianto normativo di salute e sicurezza (il D.Lgs. n. 81/2008) pensato per una impresa di medio-grandi dimensioni e sindacalizzata a forme di lavoro non produttivo sempre più rilevanti anche fuori dal c.d. terzo settore e dal lavoro sociale?
  • La dilatazione di tempi e spazi di lavoro e il rapporto di permeabilità tra questi e quelli di vita privata come influiscono sulla determinazione del nesso causale per la qualificazione della malattia come professionale? Il meccanismo di determinazione della stessa e il sistema tabellare sono attuali in questo contesto? Quanto ciò si riflette sulla perdurante validità della distinzione tra malattia e infortunio?
    In che modo gli strumenti prevenzionistici previsti dalla legge, come la valutazione dei rischi o la sorveglianza sanitaria, possono o devono adeguarsi al nuovo contesto?
  • Ancora, la valutazione dei rischi, per come oggi è concepita all’interno del Testo unico, è adeguata a rispondere alle esigenze che pongono i nuovi ambienti di lavoro o dovrebbe essere ripensata partendo da una nuova definizione che si adatti meglio ai nuovi contesti lavorativi? E le normative di tutela della salute e sicurezza previste per il c.d. lavoro agile e per gli spazi di coworking sono adeguate o richiedono un profondo ripensamento?
  • Per molti dei profili professionali emergenti una tutela in materia di salute e sicurezza appare obiettivamente complessa, in funzione dei vari luoghi in cui operano, e di non chiara gestione. È ragionevole lasciare il rischio della tutela di salute e sicurezza in capo a questi lavoratori e alla loro responsabilità individuale? Non è pensabile un sistema di tutele centrate sulla persona a partire dalle tutele contro le malattie professionali?
  • Chi deve farsi carico dello sviluppo delle professionalità e delle competenze professionali per la salute e sicurezza 4.0? Quali percorsi e metodi di apprendimento sarà necessario sviluppare per aggiornare, ampliare e trasformare le professionalità per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro?
NOTE

[1] Se nel 2019 contavamo poco più di circa 570.000 lavoratori agili, secondo i numeri dell’Osservatorio Smart Working, le persone che hanno lavorato in Smart Working nel 2020 sono stati 6,58 milioni, praticamente 1/3 dei lavoratori dipendenti italiani.

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