Lavoro minorile, in Italia il fenomeno riguarda 340mila preadolescenti

A rivelarlo è una ricerca curata dall’associazione Bruno Trentin e da Save the Children, che sottolinea come il contributo dei baby lavoratori di età compresa tra i 12 e i 15 anni sia prevalentemente a sostegno delle attività dei genitori, soprattutto in ambito domestico e nelle piccole e micro imprese.

In Italia sono circa 340mila i giovani di età compresa tra i 12 e i 15 anni coinvolti in attività lavorative, prevalentemente a sostegno delle proprie famiglie. A rivelarlo è la ricerca “Game over. Il lavoro minorile in Italia”, curata dall’associazione Bruno Trentin e da Save the Children.

Il 41% è impiegato in imprese a conduzione familiare. Nella maggior parte dei casi, i baby lavoratori in età preadolescenziale aiutano i genitori nelle loro attività professionali, nell’ambito di piccole e piccolissime imprese a gestione familiare (41%), oppure sostenendoli nei lavori di casa (30%). Il restante 29% si distribuisce invece in misura equivalente tra chi lavora nella cerchia di parenti e amici e chi per altre persone. Si tratta, comunque, di dati da leggere nel contesto di un’economia avanzata come quella italiana. “Non ci troviamo davanti a baby lavoratori impiegati in lavori lontani dalle società evolute – spiega infatti Anna Teselli, ricercatrice nell’area welfare e diritti di cittadinanza e responsabile dell’Osservatorio sul lavoro minorile – ma di giovanissimi impegnati a contribuire a mandare avanti l’azienda di famiglia oppure a servire, fino a tardi, tra i tavoli dei ristoranti”.

Tra i settori di attività predomina la ristorazione. Nella distribuzione per settori predomina proprio la ristorazione, che assorbe il 27,7% delle attività, seguita dalla vendita (comprese quelle ambulanti) con il 17,2% e dall’artigianato, con il 15%. La lista include inoltre baby sitting e attività con bambini (4,3%), lavoretti di ufficio (4,2%) e impegni nei cantieri (1,9%). L’indagine sottolinea anche che tra i 14-15enni che lavorano uno su cinque (quasi 55mila) svolge un’ attività di tipo continuativo, soprattutto in ambito familiare. I lavori continuativi coinvolgono i minori per almeno tre mesi all’anno, almeno una volta a settimana e per almeno due ore al giorno.

Il problema della sicurezza è sottovalutato. Uno dei dati più interessanti emersi dalla ricerca è quello che riguarda la percezione del rischio da parte dei giovani lavoratori rispetto all’attività che svolgono. “Per l’83,9% dei minori che lavorano – sottolinea a questo proposito Teselli – il lavoro non è pericoloso e solo il 14% lo indica come un po’ pericoloso”, a dimostrazione del fatto che il problema della sicurezza è sottovalutato dai baby lavoratori. Il profilo tracciato dall’indagine, infatti, è quello di giovani che lavorano in fasce orarie serali o notturne, svolgono un lavoro continuativo e hanno poco tempo libero per riposare e divertirsi con gli amici, tutte condizioni che possono favorire il verificarsi di situazioni di potenziale rischio.

L’antidoto più efficace è l’istruzione. Il rapporto con la scuola e l’istruzione è un altro degli aspetti approfonditi dalla ricerca. Nonostante la legge italiana preveda l’obbligo di istruzione nella fascia di età compresa tra i 6 e i 16 anni, dall’analisi condotta dall’associazione Bruno Trentin e da Save the Children emerge infatti che spesso i giovani interrompono gli studi per lavorare e che le bocciature sono più frequenti tra i minori con esperienze di lavoro. Di qui la decisione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) di dedicare la prossima Giornata mondiale contro il lavoro minorile del 12 giugno proprio all’istruzione obbligatoria e di qualità, che rappresenta uno degli strumenti più efficaci per contrastare il fenomeno.

Fonte: Inail

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