Le criticità sulla figura del formatore in conseguenza del D.M. del 6 Marzo 2013

Un saggio pubblicato sul sito Olympus valuta le criticità sulla figura del formatore in conseguenza del D.M. del 6 Marzo 2013 e propone un nuovo modello di formatore.

Il  Decreto interministeriale del 6 marzo 2013, contenente i criteri di qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro, secondo quanto richiesto dall’articolo 6 del Decreto Legislativo 81/2008, costituisce sicuramente un importante tentativo di migliorare la qualità della formazione alla sicurezza in Italia. Tuttavia il decreto non è esente da criticità e ha ancora aspetti applicativi da chiarire. E lo stesso art. 3 del decreto prevede che, trascorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore del decreto (il 18 marzo 2014), la Commissione Consultiva ne valuti l’applicazione ed elabori eventuali proposte migliorative.

Proprio per esaminare la disciplina della qualificazione dei formatori in materia di sicurezza sul lavoro e formulare alcune proposte di miglioramento, è stato realizzato un Working Paper – pubblicato da Olympus nel mese di maggio 2015 – dal titolo Quali formatori per la sicurezza sul lavoro? e a cura di Paolo Pascucci, professore ordinario di Diritto del lavoro nell’Università di Urbino Carlo Bo.

Il breve saggio, che costituisce la rielaborazione di una relazione presentata al Seminario su “Formazione efficace”, organizzato ad Ancona il 27 febbraio 2015 dall’OPRAM, si sofferma su vari aspetti del decreto evidenziandone i dubbi applicativi.

Primo fra tutti il tema delle responsabilità del datore di lavoro.

Nel caso che il datore di lavoro

eroghi la formazione ai propri lavoratori mediante formatori non in regola con i requisiti di cui al decreto del 6 marzo 2013 rischierà di vedersi contestata l’insufficienza e l’inadeguatezza della formazione.

E

tale rischio emergerà ancor più nitidamente ove il datore di lavoro abbia comunque omesso di verificare il possesso da parte del formatore dei prescritti requisiti, ovvero quando abbia avviato i corsi nonostante che la verifica avesse evidenziato le criticità. Per liberarsi da una simile infausta eventualità, il datore di lavoro dovrebbe dunque fornire la prova di aver esercitato una scrupolosa verifica dalla quale non fossero emerse irregolarità o difformità rispetto ai criteri stabiliti dal decreto, ferma restando ovviamente l’eventuale responsabilità, anche penale, del formatore infedele ove abbia prodotto documentazioni non veritiere.

Il secondo punto riguarda le qualità del formatore che dovrebbero garantire la combinazione tra esperienza, competenza e capacità didattica.

Combinazione che, secondo l’autore, si è ancora invece ben lontani dal garantire.

Ad esempio la conoscenza presuppone

un processo di apprendimento che non sempre potrebbe emergere con piena evidenza dai titoli evidenziati. Quanto all’esperienza, si potrebbe dubitare che le ‘quantità’ delle attività emergenti dai criteri assicurino la concreta esperienza e, quindi, soprattutto la competenza necessaria. Ma ciò che più preoccupa, e spiace doverlo rimarcare, è il versante della capacità didattica, che appare presidiato da elementi che offrono ben scarse garanzie in merito all’obiettivo.

E in questo caso la “capacità didattica” è quasi sempre coniugata al concetto di “docenza”, talora “senza che questa presenti alcun collegamento con la materia della salute e della sicurezza sul lavoro”. Ma il fatto di essere o di essere stato “docente”, garantisce al formatore la capacità didattica a fronte della definizione del d.lgs. 81/2008 che concepisce la “formazione”, prima ancora che come un processo di mero apprendimento, come un “processo educativo”?

Come scrive Pascucci, “non dovrebbe esservi bisogno di ricordare che, per trasferire conoscenze e procedure utili all’acquisizione di competenze concrete o per svolgere i propri compiti in azienda ed identificare, ridurre e gestire i rischi, né un bravo oratore, né un dotto conoscitore di regole ed alchimie presentano utilità ove non siano contemporaneamente in grado di plasmare virtuosamente i comportamenti dei lavoratori educandoli appunto ad una prestazione sicura”.

Insomma – conclude il saggio – “il formatore davvero adeguato è probabilmente qualcuno che rischia di non assomigliare molto a quello che è delineato nel decreto.  O forse, più semplicemente, è qualcuno che ancora non c’è”.

Nel saggio però vengono presentate anche alcune proposte

Ad esempio, fermo restando quanto previsto dagli standard minimi statali (l’art. 1 del decreto identifica i criteri come “requisiti minimi richiesti per la figura del formatore in materia di salute e sicurezza sul lavoro”), sarebbe auspicabile “che le Regioni premiassero chi andasse oltre quegli standard adottando parametri di più alta qualificazione proposti dalle stesse Regioni”.

Poi si potrebbe lavorare sulla nascita di “un sistema serio e strutturato di operatori del settore, siano essi consulenti o formatori”. In un futuro potrebbero emergere “veri e propri professionisti della materia formati in vere e proprie scuole ufficiali”.

E qui emerge

il ritardo del sistema universitario, ancora tendenzialmente diviso tra medici, ingegneri, giuristi ed aziendalisti (tanto per citare solo alcune delle scienze maggiormente coinvolte), i quali non hanno ancora compreso appieno l’esigenza e l’importanza di mettere insieme le proprie conoscenze e competenze per istituire un nuovo sistema formativo ad hoc per la sicurezza sul lavoro: un sistema realmente interdisciplinare, fortemente connotato sul versante psicopedagogico e della scienza della formazione ed assolutamente integrato con il mondo delle imprese, al quale spetterebbe il compito di accogliere da subito, mediante stage e tirocini, coloro che frequentassero queste nuove scuole.

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