L’errore umano

Spesso si legge sui giornali, in relazione a incidenti o infortuni nelle aziende, di “errore umano”.
Cosa s’intende dire con questa espressione?

Escludiamo, almeno per la scarsa attendibilità scientifica, che ci si riferisca fatalisticamente all’errare humanum est attribuito, tra gli altri, a Cicerone (Filippiche XII,5). E guardiamo all’attenzione posta al comportamento umano, quando, se non corretto, può essere causa di eventi sfavorevoli.

Ci sono oggi diversi pareri e diverse teorie che cercano di capire e predire gli errori umani. Nessuna apparentemente fa risalire le cause degli infortuni esclusivamente al singolo lavoratore. Però… Una delle teorie più conosciute, nata negli States, la BBS (Behavior-Based Safety) e diffusasi rapidamente nel mondo industriale occidentale dichiara che

oltre l’80% degli infortuni sul lavoro non siano dovuti a problemi di sicurezza o inadeguatezza di macchine, attrezzature e impianti o da condizioni di lavoro sfavorevoli bensì a COMPORTAMENTI NON SICURI!

I sostenitori italiani di questa teoria, tra gli altri il Prof. Tosolin, hanno spiegato che questo non significa che va messa sotto osservazione la personalità del lavoratore, la sua propensione al rischio o la sua caratteriale superficialità. Nonostante questa rassicurante esclusione, la pratica si centra nella maggior parte dei casi sulla osservazione dei singoli e sulla premialità utile a rafforzare i loro comportamenti virtuosi.

Una delle scoperte più importanti della Behavior Analysis, traslata successivamente nella BBS, è che il comportamento umano può essere inibito, sicuramente, dalla punizione, ma nessun comportamento può essere instaurato, aumentato, se non attraverso l’adozione di conseguenze positive, gratificanti per il soggetto.

La sottolineatura è nostra.
Non da oggi però appare certo che la sicurezza, o l’insicurezza, siano il risultato della interazione di un vasto complesso di fattori dei quali il comportamento individuale è solo uno, e nemmeno il più importante. Il singolo addetto, infatti, non si muove in completa libertà e autonomia, ma all’interno di una griglia, più o meno stretta o più o meno codificata, di indicazioni, modalità organizzative, catene di comando e controllo e soprattutto dentro una cultura aziendale che ispira e orienta i comportamenti della collettività aziendale. Va opportunamente ricordata la definizione fornita dal Comitato misto OIL-OMS nel 1989 dell’infortuni sul lavoro quale «conseguenza statisticamente prevedibile del fallimento tecnico sociale del lavoro».

Il processo di prevenzione non consiste esclusivamente nell’eliminazione dei rischi considerati isolatamente dal sistema, ma deve analizzare e risolvere le condizioni che potrebbero innescare il processo infortunistico all’interno del sistema stesso, arrivando ad una corretta interazione fra tutte le componenti aziendali. Uno squilibri o tra le componenti del sistema provoca infatti un abbassamento dell’affidabilità dell’intero sistema: quanto più esso risulta complicato, tanto più bisogna ripartire le operazioni di manutenzione e servizio fra diversi gruppi di specialisti e tanto più il compito dell’essere umano pone problemi. (dalla Rivista Sicurezza e lavoro dell’Inail – Ottobre 2012)

Altre teorie hanno approcci che tengono in maggiore considerazione questo quadro. Per esempio quelle e si rifanno al Modello di J.Reason il quale  simula l’industria come un sistema produttivo complesso costituito da una serie di elementi chiave:

  • high level management (i decisori)
  • line management (dirigenti che fanno applicare le decisioni)
  • productive activities (chi applica le decisioni)
  • preconditions (intenzioni) necessarie per eseguire operazioni atte ad applicare le decisioni, ossia per avviare il ciclo produttivo
  • defences (meccanismi atti ad evitare errori).

Sulla base di questi elementi, la teoria dell’errore umano di Reason afferma che l’incidente (grave) raramente è frutto di “productive activities” ma nasce invece dall’interazione tra una serie di errori (failures) e/o difetti già presenti nel sistema.

Come procedere a rilevare questi errori presenti nel sistema, prima che accadano? Ci sono diversi metodi alcuni dei quali previsti anche da Reason.

Tutti partono da due assunti:

  1. ll progettista deve innanzitutto comprendere che l’utente che sbaglia non è un utente sbagliato, ed evitare di colpevolizzarlo, o pretendere da lui un’impossibile perfezione. Deve accettare il fatto che l’utente sbaglia perché il sistema gli consente di sbagliare e questo, in ultima analisi, è un difetto ascrivibile a cattiva progettazione. Il progettista deve allora predisporre tutti gli accorgimenti per evitare, per quanto possibile, questa eventualità e gestirla nel modo più corretto quando si verifica.
  2. L’“Errore” va inteso come un termine generico per comprendere tutti i casi in cui una sequenza pianificata di attività fisiche o mentali fallisce il suo scopo, e quando questo fallimento non possa essere attribuito all’intervento di qualche agente casuale.

Sulla base di questi due assunti un’azione è considerata corretta quando si verificano tre condizioni:

  1. l’utente aveva l’intenzione di agire,
  2. l’azione è proceduta come desiderato,
  3. l’azione ha ottenuto il suo scopo.

Se non si verificano tutte queste tre condizioni, si hanno quattro fondamentali tipi di errori come illustra la figura seguente:

erroreumano_schema

Quindi prevenire l’errore (error prevention) significa progettare il sistema in modo che la possibilità di errori da parte dei suoi utenti sia minima. Ci sono numerose tecniche per progettare la massima sicurezza consapevoli però che anche l’utente più esperto commette degli errori. Questo è inevitabile, se si pensa che spesso, nei compiti quotidiani, c’è un solo modo di fare le cose nel modo corretto, ma molti modi di sbagliare.

Ed è qui che la partecipazione si rivela l’elemento risolutivo.

> scarica il documento: Il fattore umano nella valutazione dei rischi (file .pdf)

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