Repertorio Salute

Licenziato perché trovato positivo alla cannabis. Il Tribunale lo reintegra, perché?

Esiste la possibilità di essere licenziato dopo essere stato trovato positivo all’uso di cannabis?

La risposta ce la da la sentenza del Tribunale di Milano (Trib. Milano, Sez. Lav., 13 giugno 2017 n. 15954). La sentenza ripercorre un episodio accaduto nel luglio del 2016.

il dipendente di s.p.a. con qualifica di Operatore di Esercizio,

è stato

invitato dalla datrice all’esecuzione, il giorno successivo, di un accertamento medico teso a verificare l’assenza di alcooldipendenze e tossicodipendenze, all’esito del quale lo stesso veniva rinvenuto positivo al metabolita THC (cannabis) e, conseguentemente, dichiarato temporaneamente inidoneo allo svolgimento della mansione di Conducente Gomma per poi essere destituito dal servizio in data … 2016, a seguito di procedimento disciplinare, principiato con lettera di contestazione […] nella quale si legge: “il giorno…2016 alle ore… veniva sottoposto agli accertamenti tossicologici periodici prescritti dalla Legge per le mansioni cd a rischio, ai sensi di quanto previsto dall’art. 41 del d.lgs. 81/2008, presso la struttura sanitaria di riferimento […]. L’esito degli esami effettuati, a noi pervenuto in data …2016, è risultato positivo e pertanto le contestiamo l’uso di droghe, sostanze psicotrope e/o stupefacenti. Le contestiamo, inoltre, che con tale comportamento, cui è seguito necessariamente il giudizio di inidoneità alla mansione formulato da Medico competente, Lei ha reso impossibile lo svolgimento dette mansioni proprie della figura professionale a Lei attribuita”.

Il punto interessante è quello sottolineato dal Tribunale:

non risulta, dunque, contestato al ricorrente alcuno stato di alterazione psicofisica registrato nello svolgimento delle mansioni di conducente, con significativo incremento della pericolosità per la pubblica incolumità della prestazione resa, in ragione delle sue caratteristiche tipologiche, ma esclusivamente la pregressa assunzione di stupefacente, alla stregua di condotta irresponsabile ed eticamente censurabile, potenzialmente rischiosa per la pubblica incolumità, in ultima analisi incompatibile con le mansioni assegnate.

In sostanza il dipendente non era al momento della sua attività in stato di alterazione psico-fisica, anzi è difficile individuare anche quando l’assunzione della sostanza sia avvenuto. Prosegue infatti il Tribunale:

appare altresì utile premettere come, nel caso di specie, sia stata registrata la presenza del principio attivo…, in assenza di specificazione del valore di concentrazione…. il che, se da un lato consente di ritenere con ragionevole certezza l’avvenuta assunzione volontaria attraverso inalazione diretta (anche a confutare l’inverosimile tesi difensiva dell’inalazione involontaria o passiva della sostanza), dall’altro non consente di stabilire con certezza la verosimile epoca dell’assunzione, la distanza della stessa dal momento del test – risultando la permanenza del principio attivo nelle urine per diversi giorni dopo l’assunzione – e, pertanto, lo stato potenziale o attuale ed il relativo grado di alterazione delle capacità ed attitudini personali, tra cui quella di svolgimento delle mansioni lavorative.

Il Tribunale di Milano accoglie il ricorso del lavoratore (in base all’art.1 c.48 L.92/2012), dichiara l’illegittimità del provvedimento di destituzione dal servizio del ricorrente e condanna la s.p.a. alla immediata reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro ed al pagamento di un’indennità risarcitoria.

Le motivazioni riguarda un punto dell’accertamento previsto dai provvedimenti

emanati dalla Conferenza Unificata Stato Regioni nn. 99/2007 e 178/2008 e, per questo caso anche dalla Circolare Regione Lombardia del 22/01/2009 […] nei quali si annoverano, tra le mansioni che comportano rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute propria o dei terzi, anche in riferimento ad un’assunzione solo sporadica di stupefacenti, quelle inerenti alle attività di trasporto, con conseguente necessità di sottoposizione dei lavoratori a test, eventualmente senza preavviso, ed a monitoraggi periodici in capo di esito positivo.

E

in caso di accertamento di “stato di tossicodipendenza” il datore di lavoro, ai sensi dell’art.125 3° co., d.p.r. n.309/1990 è tenuto a rimuovere il lavoratore dall’espletamento della mansione che comporta rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi. Quanto alle conseguenze sul rapporto di lavoro, in relazione ad uno stato di tossicodipendenza accertato, l’art.9 della Conferenza Unificata prevede redibizione del lavoratore a mansioni diverse da quelle a rischio, fermo il diritto alla conservazione del posto ove il lavoratore si sottoponga a cure riabilitative, per un periodo non superiore ai tre anni ai sensi dell’art 124 d.p.r. cit.

Il rischio del posto di lavoro però si ha solo quando la persona è in uno stato di accertata tossicodipendenza in particolare al momento dell’assolvimento delle sue abituali mansioni. Invece

nel caso di assunzione volontaria di droghe in assenza di tossicodipendenza, non è prevista alcuna norma legislativa che preservi la posizione di lavoro, prevedendosi esclusivamente un’inidoneità temporanea alla mansione a rischio, rimettendo la valutazione della eventuale rilevanza disciplinare al datore di lavoro. L’art. 45 all.A) R.D. n.148/1931, richiamato nell’opinamento di destituzione dal servizio del… punisce chi, durante il servizio, in funzioni attinenti alla sicurezza dell’esercizio, è trovato in istato di ubriachezza; o chi, anche se non addetto a tali funzioni, venga trovato abitualmente in istato di ubriachezza

disposizione, ad opinione del giudicante, applicabile per analogia alle alterazioni psicofisiche determinate dalla volontaria assunzione di sostanze stupefacenti.

E ancora:

Non può, quindi, ritenersi disciplinarmente rilevante il mero rilievo della pregressa assunzione di sostanze psicotrope, sia pure riferito a lavoratore adibito a mansioni a rischio, in assenza di dimostrazione, attuale o presuntiva, dell’esistenza di una concreta alterazione psicofìsica atta a determinare il rischio per l’incolumità, propria o altrui, in relazione alla tipologia delle mansioni assegnate.

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