Medici italiani sempre più stressati.

Stressato, sottoposto a carichi di lavoro eccessivi, costretto a lavorare anche dopo il turno notturno, senza tempo neanche per usufruire di una pausa pranzo. È questo l’identikit del medico italiano operante nella sanità pubblica, secondo quanto emerge da una ricerca di Anaao Giovani appena presentata, centrata appunto sui problemi connessi all’aumento dei carichi di lavoro tra i camici bianchi. Una maggiore utilizzazione imposta dal progressivo de-finanziamento del Servizio sanitario nazionale (le Regioni hanno stimato tagli intorno ai 31 miliardi di euro dal 2010 al 2014), che ha determinato importanti riduzioni degli organici attraverso riorganizzazioni, prepensionamenti e blocco del turnover. Misure che comportano l’incremento dell’orario di lavoro e del numero delle prestazioni, con evidenti conseguenze sulle performance cognitive dei medici, sull’aumento del rischio clinico e di malattie psicosociali (come la sindrome da burnout).

… La ricerca offre numerosi dati che testimoniano l’accresciuto impegno nel lavoro dei medici. Il 91,9 per cento del campione reputa “di essere sottoposto a un eccessivo carico lavorativo”. … Interessanti sono le cifre sul lavoro notturno: più del 41 per cento svolge almeno quattro turni al mese (e il 5 per cento supera gli otto). Ma c’è di più: un terzo del campione svolge attività clinica dopo il turno notturno, un fatto che va contro le specifiche disposizioni sul riposo giornaliero (art. 7 del D.Lgs. 66/2003), che sanciscono il diritto del lavoratore ad avere un adeguato periodo di riposo. Nel complesso, sommando guardia notturna e diurna (ossia domenica e festivi), il 39,2 per cento degli intervistati effettua tra sette e 16 turni di guardia mensili. Va considerato, precisa l’indagine Anaao, che “l’aumento del numero dei turni notturni incrementa esponenzialmente il rischio di patologie neoplastiche e malattie cardio-vascolari, e in assenza di un adeguato periodo di riposo peggiora la performance cognitiva”.

Un altro indicatore sondato come possibile fattore inducente lo stress lavorativo è il numero delle ore di straordinario annue: più del 40 per cento del campione ne effettua almeno 150, e il 18,8 più di 250. Anche in questo caso va ricordato, come recita l’art. 5 del decreto legislativo 66/2003, che il lavoro straordinario non deve superare le 250 ore annuali ed è  possibile solamente per prestazioni con caratteristiche di eccezionalità: “Da ciò deriva – evidenzia la ricerca  come lo straordinario non possa e non debba essere utilizzato come  fattore ordinario di programmazione del lavoro, cosa che invece appare inconfutabilmente dall’indagine”. Il 67,8 per cento dei medici attribuisce l’uso così massiccio dello  straordinario alla “cronica carenza organica”, conseguente per più della metà degli intervistati (55,9 per cento) alla “incapacità  organizzativa degli apparati di direzione”. A dimostrazione degli organici ridotti, infine, vi è anche il fatto che ben il 41,7 per cento afferma di non poter recuperare le ore in eccedenza prodotte durante l’anno. “Questa de-regulation dell’orario lavorativo – spiega la ricerca – ha rilevanti conseguenze anche sulla salute del medico. La letteratura scientifica ci dimostra come turni lavorativi duri siano più frequentemente associati all’insorgenza di patologie in vari ambiti”. Ecco  i dati: il 41 per cento degli intervistati è affetto da malattie cardiovascolari e patologie metaboliche accertate o sospette, il 40 per cento ha disturbi del sonno (e il 12,2 assume regolarmente ipnoinducenti). L’influenza negativa dell’attività lavorativa sui bioritmi quotidiani è testimoniata anche dal fatto che il 65,5 per cento del campione non riesce a  usufruire con regolarità della pausa pranzo, un evento che incide negativamente sulla propria qualità di vita.

L’ultimo aspetto indagato è la sfera emotiva. Il  15,9 per cento vive una situazione di mobbing o demansionamento da parte del direttore o dei colleghi, mentre il 54,8 non riesce a effettuare sport per mancanza di tempo. La maggioranza degli intervistati (77,5 per cento) ritiene che la propria vita privata sia negativamente condizionata dal lavoro, il 22 non riesce ad avere una vita personale soddisfacente. “Queste risposte – conclude l’indagine Anaao – collimano con i dati della letteratura internazionale che evidenziano segni emozionali di burnout in più del 40 per cento dei medici, confermando la difficoltà di conciliare i turni lavorativi con una soddisfacente vita personale”.

Fonte:  www.rassegna.it

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