Metropolis: l’altra faccia di Industria 4.0

Lavoro dipendente e lavoro autonomo: idealtipi e problemi di rappresentanza delle nuove forme di lavoro.

Nelle industrie, tutto il lavoro che può essere tradotto in un algoritmo verrà affidato alle macchine, ai robot; all’uomo resteranno i compiti di ideazione di manutenzione e controllo, o quei lavori ausiliari che i robot non potranno svolgere o che non sarà conveniente affidare loro. Ovvero ai nuovi lavoratori verranno richieste da un lato sempre più capacità di conoscenza e creatività (capacità di immaginare il futuro, di costruirlo e controllarlo), dall’altro verrà richiesta la semplice esecutività per quei lavori di supporto senza nessuna specializzazione.

Il lavoro in questo contesto si sta già presentando in forme diverse come evoluzione dei modelli organizzativi del ‘900 applicati ad una diversa civiltà tecnologica. Questo ha delle conseguenze sia per il lavoro dipendente industriale e dei servizi che per il lavoro autonomo e professionale.

Gli studiosi della materia hanno ben descritto il dualismo presente nel sistema produttivo e le diverse tendenze di sviluppo del modello di produzione industriale:

  • una via bassa (il lato oscuro), che riguarderà principalmente le produzioni a minor valore aggiunto, dove la competizione avviene sulla riduzione dei costi e attraverso la precarizzazione del lavoro, riguarda un altro segmento del mercato del lavoro a cui vengono richieste basse competenze e riconosciute ridotte tutele.
  • una via alta (il lato luminoso), che riguarderà principalmente le produzioni ad alto valore aggiunto, dove la competizione è sull’innovazione e sul coinvolgimento delle risorse umane a cui vengono richieste alte competenze e vengono riconosciute alte tutele,

Sono stati immaginati e descritti due idealtipi, ricavati esasperando le due opposte direzioni di sviluppo: la discriminante tra questi idealtipi sarà la quantità e la qualità di partecipazione che verrà richiesta ai lavoratori. Probabilmente coesisteranno entrambi i modelli evolutivi, ciascuno con diverse sfumature e caratteristiche proprie, e molto probabilmente si affermeranno modelli che conterranno in misura diversa elementi di entrambi gli idealtipi che andiamo a descrivere.

Tra i due idealtipi c’è una frattura.

1. Chiameremo il primo dei modelli organizzativi, declinato in forma oppressiva (la via bassa), modello Metropolis, dal film di Fritz Lang del 1927 la cui storia è ambientata nel 2026, Lang immagina una città dove i lavoratori sono costretti nel sottosuolo e trasformati in una sorta di robot meccanici per mantenere la città ricca e scintillante.
Ovviamente il film immagina un futuro dal punto di vista ed estrema conseguenza della fabbrica meccanica di inizio secolo, la stessa che Charlie Chaplin descriverà molto efficacemente nel 1936 in tempi moderni, con un lavoratore ossessionato da ingranaggi e bulloni da stringere senza sosta.
Il modello Metropolis riguarderà prevalentemente le forme di lavoro senza qualificazione, nella produzione di merci a basso valore aggiunto, dove non è richiesta la partecipazione dei lavoratori al raggiungimento dei risultati, riguarderà cittadini alienati, attraverso tecniche manipolatorie di falsa partecipazione, di coinvolgimento atte a sedurre e incorporare l’individuo. Probabilmente (ma non necessariamente) si svilupperà maggiormente nei paesi con economie meno sviluppate, e proporrà al nuovo lavoratore un patto, simile a quello richiesto all’operaio nell’industria del primo novecento: rinunciare alla propria soggettività per accettare di comportarsi (in questo caso) seguendo un’algoritmo della macchina organizzativa.
Il patto tra lavoratore ed impresa nella società taylorista e fordista rappresentava comunque la possibilità di una crescita economica e sociale di indubbio vantaggio per il lavoratore, il nuovo patto nel modello Metropolis potrà avere la medesima valenza nei paesi economicamente arretrati, mentre rappresenterà nei paesi avanzati l’estremo tentativo di continuare a produrre merci a basso valore aggiunto ed occupazione per una quota di lavoratori marginali.
Se il vecchio modello industriale aveva assunto la macchina meccanica come prototipo organizzativo, il nuovo modello farà del robot informatizzato, dotato di intelligenza artificiale, capace di apprendere i comportamenti richiesti dall’esperienza, l’esempio da emulare: il lavoratore dovrà accettare di comportarsi secondo un algoritmo le cui modalità di funzionamento verranno decise da altri, a volte, senza la possibilità di partecipare in alcun modo alla definizione dell’algoritmo. Il nuovo lavoratore Metropolis verrà fornito di microchip, che potrà essere contenuto in un terminale da tenere sempre con se (magari il proprio smartphone), o inserito nelle scarpe da lavoro, in un bracciale o in uno smartwatch, dispositivi da indossare; che possono essere utilizzati dai lavoratori per funzioni che riguardano la loro vita personale oltre che per accedere alle applicazioni aziendali. Un microchip che guiderà e controllerà i suoi comportamenti ridotti ad emulazione di un robot, la cui intelligenza e capacità di prendere decisioni verrà decisa altrove, se non saremo capaci di stabilire dei limiti invalicabili a difesa della tutela della personalità morale dei prestatori di lavoro.

2. Al polo opposto, e quindi in attività maggiormente qualificate, nella produzione di merci a più alto valore aggiunto, dove la partecipazione dei lavoratori al raggiungimento dei risultati di qualità è richiesta, necessaria e sollecitata, si svilupperanno modelli diversi che sono stati descritti con il termine Industria 4.0. In queste realtà industriali il lavoro non qualificato, più nocivo e pericoloso, più fisicamente faticoso, verrà affidato (per quanto possibile) a robot e all’uomo verranno riservati compiti di ideazione, manutenzione e controllo oltre quel residuo di lavoro produttivo non delegabile al robot; un lavoro qualificato (descritto a volte con eccesso di enfasi) dove al lavoratore verrà richiesto il massimo di partecipazione per gestire un ambiente di lavoro dove robot e uomini si troveranno a lavorare insieme ed interagire, verrà richiesto il massimo di partecipazione per costruire e proporre modifiche e miglioramenti agli algoritmi dei complessi modelli organizzativi. Un lavoratore che avrà a disposizione più tempo libero, da dedicare alla propria crescita culturale e professionale. Qualche cosa che si accorderà, almeno in parte, alle descrizioni del lavoro di De Masi e che i metalmeccanici tedeschi forse iniziano a pensare come un futuro prossimo possibile.
Quanto avremo di uno o dell’altro modello dipenderà da come sapremo immaginare il futuro che vogliamo costruire, dagli obiettivi che perseguiremo, dalle utopie che sapremo mettere in campo e da come sapremo coniugare queste utopie con l’essere pragmatici. Il futuro probabilmente non sarà tutto industria 4.0 o tutto Metropolis, tutto luminoso o tutto oscuro, probabilmente si presenterà con luci ed ombre, coesisteranno forme diverse dei due modelli, o si affermeranno modelli diversi da entrambi, come sintesi variamente composti dei due modelli descritti.
L’unica cosa che non potrà accadere sarà conservare lo statu quo ante, difendere i totem del passato: se non saremo capaci di cambiare, immaginare il futuro, altri lo immagineranno per noi. Come ha scritto Luciano Floridi su L’Espresso del 15 aprile 2018 “tenere le dita incrociate non è una strategia”.
A fianco del lavoro organizzato stabilmente, del lavoro dipendente, che abbiamo ricondotto ai due modelli sommariamente descritti, le tecnologie informatiche permetteranno la crescita del lavoro autonomo, che potrebbe diventare numericamente la più importante forma di lavoro. Sono stati descritti due ulteriori idealtipi per le forme che assumerà il lavoro autonomo, la precarietà del lavoro della gig economy da una parte, dall’altra quella che Vindice Deplano ha definito l’azienda che non c’è.

3. Una forma di lavoro autonomo, che stiamo già sperimentando è quello della “gig economy”, di cui abbiamo già accennato (nel nostro precedente intervento “Nuove tecnologie, etica e organizzazione del lavoro”): la possibilità (anche ma non necessariamente) attraverso applicazioni che permettano di organizzare ed utilizzare il lavoro di persone, in tutto il mondo, solo per il tempo strettamente necessario a completare un servizio che viene richiesto a chi detiene la proprietà dell’applicazione; completato quel servizio il lavoratore, autonomo, torna al suo status di disoccupato/free lance, in concorrenza con tutti gli altri. Un modello che rischia di trascinarsi dietro il lavoro di moltitudini di lavoratori lasciati senza protezioni sociali, anche nelle attività tradizionali indipendentemente dal livello delle tecnologie utilizzate. L’utilizzo esagerato dei “tirocini formativi” o delle finte partite iva anche nei lavori tradizionali e senza utilizzo di tecnologie può dilagare.

4. L’alternativa alla gig economy riguarderà il lavoro condiviso ed auto-organizzato di competenze autonome, somiglierà all’opificio pre-industriale dove si ritroveranno professionisti (che Daniele Verdesca definisce artigiani del digitale), ciascuno con le proprie conoscenze tecniche e autonoma capacità produttiva. La grande differenza con l’opificio preindustriale sarà che le tecnologie dell’informazione permetteranno di auto-organizzare (in assenza di un imprenditore/proprietario) tante competenze collocate in tutto il mondo senza la necessità di avere un luogo fisico (l’opificio) dove ritrovarsi a lavorare insieme.
Ci descrive efficacemente questa forma di impresa Vindice Deplano:

L’impiego sistematico di tecnologie evolute, che rende possibile svolgere in autonomia processi lavorativi anche molto complessi, che un tempo necessitavano dell’apporto di più persone e di una organizzazione stabile. … Collaboratori a progetto, partite Iva, imprese individuali, startup e altre microimprese in cui i soci sono lavoratori. Una notevole propensione a fare rete con altre persone e/o aziende, creando organizzazioni mobili in funzione di un particolare obiettivo. È normale che un singolo faccia parte contemporaneamente di più reti.
Una presenza diretta in Internet, attraverso sistemi integrati di comunicazione usati con maestria, che comprendono siti personali, blog, social network, forum e mailing list. Una forte componente etica, basata sul merito, sulla fiducia, sullo scambio e a volte sul dono, perché la buona reputazione per quanto riguarda competenza e correttezza è determinante per la sopravvivenza.
(De Plano V., 2015)

Un modello anche questo che già esiste e funziona, anche se ancora marginale: l’azienda che non c’è, appunto.
Anche nel caso del lavoro autonomo l’affermazione di uno o l’altro modello dipenderà da come sapremo immaginare il futuro.
Le forme di lavoro che abbiamo descritto richiederanno nuove leggi e norme, che dovranno sostituire (non aggiungersi) alle norme nate in un secolo che aveva caratteristiche ed esigenze diverse, modi di produzione e modelli organizzativi diversi, leggi che dovranno accompagnare la crescita dei modelli che si vorranno incentivare e favorire. Occorrerà:

Ripensare il sistema universale di welfare, nato nella e per la società industriale; nelle nuove forme di lavoro dovrà necessariamente accompagnare la redistribuzione di una risorsa scarsa come il lavoro, e garantire un intervento equilibratore dello stato, sia per il lavoro autonomo come per il lavoro dipendente, in grado di ridurre nuove disuguaglianze.

Recuperare solidarietà e cooperazione che sono state il carburante per le conquiste sociali del novecento, possono tornare ad essere il collante, in una società scollata, per accompagnare nuovi modelli di difesa del lavoro e della produzione. Il progressivo allargamento dello spazio economico delle imprese ha indebolito i lavoratori mettendoli in concorrenza tra loro, sarà necessario riconoscere che la solidarietà e la cooperazione vanno estese oltre i confini tradizionali.

Valorizzare la partecipazione dei lavoratori al governo delle aziende e la condivisione, è stata un’aspirazione delle classi lavoratrici del novecento per conquistare la propria emancipazione, oggi è anche (sopratutto) un bisogno delle organizzazioni che dovranno competere nel nuovo mercato globale.

Nella società liquida

la persona non si identifica più come produttore (l’operaio, il contadino, l’imprenditore), ma come consumatore, un consumatore compulsivo, che si sente parte di un gruppo sociale non più in base a una ideologia o un sistema di valori, ma essenzialmente perché consuma, portando quindi verso una globalizzazione che omologa tutti solo rispetto al parametro dei consumi

ricostruire un sistema di valori condivisi può ridurre il rischio di un

conflitto sociale non più ricomponibile nei modi consolidati nella precedente fase sociale, e in particolare nell’età del fordismo maturo, in cui si erano strutturate le relazioni industriali con organizzazioni sindacali di rappresentanza collettiva…

Il rischio di una società spaccata fra mondi non comunicanti emerge dunque dietro l’angolo di questa nuova industrializzazione, che impone un’ulteriore attenzione in termini di modalità di organizzazione della stessa società ed in fondo di democrazia, perché forte è il rischio che

non ci si riconosca più nei valori fondanti di solidarietà ed eguaglianza che hanno costituito l’ossatura dell’Europa uscita dalla seconda guerra mondiale. (Bianchi P., 2018)

Continua.


Bibliografia

Patrizio Bianchi, 4.0 la nuova rivoluzione industriale, il Mulino, Bologna 2018

Vindice Deplano, Mission e vision e stress nell’Azienda che non c’è, su P.Gentile (a cura di), La tutela dell’integrità fisica e della personalità morale nel lavoro che cambia, edizioni Palinsesto, Roma 2015.

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