di M.G.Bosco, M.Iosue, B.G.Ponticiello
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Accanto ai rischi occupazionali tradizionali (chimici, fisici e biologici) per la salute del lavoratore, i rischi psicosociali legati all’organizzazione del lavoro stanno diventando una delle principali cause di alterazione della salute sul posto di lavoro. Attualmente il mobbing viene considerato come fenomeno a se stante, separato dalla problematica più generale dei fattori di rischio psicosociale, mettendo l’accento sugli aspetti di conflittualità individuale. Al contrario il fenomeno costituisce parte rilevante dello stress lavoro correlato e va considerato in modo integrato con questo. I conflitti che possono sussistere in ogni ambiente di lavoro possono infatti degenerare in azioni ritenute fonte di disagio o addirittura mobbizzanti, ed escludere la problematica del mobbing dall’insieme dei fattori di rischio psicosociali per farne una trattazione separata e rivolta prevalentemente ad affrontarne gli aspetti di conflitto tra individui non ci aiuta nella promozione della salute e sicurezza all’interno delle imprese.
Ma quali sono i fattori determinanti alla base di questi fenomeni? Il lavoro è percepito negli ultimi anni come un problema, in primo luogo per il lavoro che non c’è a causa della crisi finanziaria che sta infuriando. Quando il lavoro c’è, si assiste ad un peggioramento o al blocco delle condizioni contrattuali, al blocco del turn over , alla presenza di contratti precari.
Un ulteriore aspetto emergente è la richiesta di flessibilità dell’orario con richiesta di intensificazione del lavoro e di un tempo di lavoro prolungato tale da non consentire l’organizzazione stabile del proprio tempo e la conciliazione con il tempo di vita. Infine in alcuni settori professionali si assiste alla “connessione permanente”, che richiede l’utilizzo potenziale o effettivo di strumenti di lavoro anche nel tempo che dovrebbe esserne libero.
Per chi come noi si occupa di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e ha attivo un ambulatorio dedicato alla prevenzione del disagio da lavoro e del mobbing, il fenomeno è chiaro. Le ostilità messe in atto con la finalità di estromettere il lavoratore o i lavoratori sono tanto più frequenti quando la società versa in condizioni economiche disagiate. La stessa crisi finanziaria fa sì che il lavoratore sia sottoposto a pressioni e sovraccarico di lavoro con la minaccia di licenziamento o sospensione dei pagamenti dello stipendio. Il fenomeno interessa tanto le mansioni più semplici quando quelle dirigenziali che si trovano spesso ad essere delegittimati, scavalcati e costretti a ricoprire, nonostante precedenti encomi per l’ottimo lavoro svolto, ruoli inferiori.
Quanto sopra esposto ha creato le basi per la crescita del malessere che sta imperversando nel mondo di lavoro, ecco quindi i comportamenti auto ed etero lesivi in occasione di lavoro, i disturbi del comportamento alimentare e le dipendenze patologiche ed infine le ripercussioni economiche a carico dell’azienda.
Il problema, soprattutto in Italia a fronte di altri paesi europei, è l’oggettivo ritardo nell’affrontare il problema, per essere più chiari i cambiamenti nel mondo del lavoro, avvenuti anche repentinamente, accanto alla crollo economico in cui ci troviamo non sono stati accompagnati da un ragionamento sul come vadano affrontati nella quotidianità.
La normativa fornisce il suo contributo con numerosi riferimenti a tutela del fenomeno: l’art. 32 della Costituzione, gli articoli 2087, 2043 e 2113, lo Statuto dei Lavoratori, il D.Lgs 81/08 e s.m.i. nonché i numerosi accordi, linee guida e raccomandazioni provenienti dalla Commissione Europea e dalle istituzioni italiane (INAIL, Ministero del Lavoro, commissioni specifiche). Tuttavia questi non si sono dimostrati proficui nel mitigare il problema. A nostro avviso il fenomeno necessita di una prevenzione a 360°. È dunque necessaria la partecipazione di tutte le figure professionali in primo luogo i medici del lavoro, così come gli operatori sanitari e tecnici e soprattutto i datori di lavoro che devono comprendere che le costrittività organizzative non rappresentano la migliore soluzione a far fronte alla recessione. Un lavoratore “psicologicamente e fisicamente malato” rappresenta un costo ulteriore per l’azienda e per la società. La prevenzione è dunque la metodica utile a migliorare lo stato di salute e conseguentemente ad aumentare la produttività aziendale, effetto questo basato sulla diminuzione dei costi legati non solo alle assenze da lavoro per patologie direttamente o indirettamente connesse al fenomeno stress, ma anche per le inevitabili ripercussioni negative sull’attività lavorativa sia influendo sullo svolgimento del lavoro che favorendo gli infortuni. Non da meno sono le ripercussioni sull’immagine dell’azienda stessa.
Pertanto è auspicabile in azienda evitare l’insorgere dei conflitti ed il loro degenerare in azioni fonte di disagio o addirittura mobbizzanti (prevenzione primaria) e quando presenti ridurre la prevalenza dei fattori di rischio e degli effetti dell’agente lesivo (prevenzione secondaria), così da evitare il sopraggiungere del danno che prevede gli aspetti riabilitativi e risarcitori dello stesso (prevenzione terziaria).
Per attuare la prevenzione occorre quindi mettere in atto un sistema di audit finalizzato a rilevare e risolvere le criticità prima che queste diventino “strutturali” all’interno dei diversi settori aziendali.