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Mobbing: una sentenza innovativa della Corte di Cassazione

fonte: Punto Sicuro
articolo di Rolando Dubini, avvocato in Milano


Chiunque … maltratta una persona di famiglia … o a lui affidata … per l’esercizio di una professione o di un’arte è punito…

così dispone l’art. 572 c.p. che, secondo la giurisprudenza in commento, trova applicazione quando il rapporto tra il datore di lavoro ed il dipendente assume natura para familiare, natura però che la sentenza Cassazione Penale, Sez. 2, 16 febbraio 2018, n. 7639 individua in una molteplice serie di indicatori la cui presenza non sempre è data, e nel caso in esame è stata decisamente esclusa dalla Suprema Corte.

In molte occasioni la Cassazione ha ricondotto il mobbing al reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi (es. Cass. Pen., Sez. VI, 22.10.14, dep. il 22.12.14, n. 53416). Ma in questa sentenza per la prima volta e con una analisi inedita la Cassazione definisce in estremo dettaglio le caratteristiche della “para familiarità” nei rapporti di lavoro, individuando il campo di indagine da parte del Giudice sui rapporti datoriali in base a precisi “elementi sintomatici” del rapporto di familiarità (presupposto dell’applicazione dell’art. 572 cp) che si potrebbe instaurare fra datore di lavoro e dipendente.

A fronte di condotte persecutorie, umilianti e vessatorie (mobbing) subite da un lavoratore, le Sezioni Penali della Cassazione hanno tutelato in varie precedenti occasioni il clima lavorativo affine a quello familiare basando l’indagine sulle dinamiche relazionali all’interno dell’azienda, sull’informalità e discrezionalità dell’esercizio delle prerogative datoriali e sulla stessa fiducia riposta dal dipendente nel regolare svolgimento del rapporto lavorativo.

L’orientamento costante della Suprema Corte, non così la giurisprudenza di merito (tra cui spicca la sentenza d’appello cassata in questa occasione) faceva proprio un concetto più ampio di quello comune per quel che riguarda le “persone di famiglia”, intendendo per tali non solo i componenti di una famiglia come definita dal codice civile, ma includendovi coloro che – indipendentemente da legami di parentela per “consuetudini di vita” – condividono una parte (anche la maggior parte) della propria vita quotidiana.

L’elemento materiale del reato non è solo il “maltrattamento” in senso fisico (percosse, privazioni imposte o similari) ma anche gli atti di scherno o disprezzo, di umiliazione, di dileggio, di vilipendio e di asservimento che cagionino continuativa sofferenza morale (=psichica). L’elemento psicologico del reato invece è sempre stato individuato nel dolo, pur anche generico.

Anche in questa occasione la Cassazione si è attestata sui propri parametri normativamente radicati.

La Corte, al di là del risarcimento previsto come conseguenza della tutela ex art. 2087 c.c. riservata alla vittima, e prescindendo dalla dimensione aziendale, ha sottolineato fermamente che il rapporto lavorativo può definirsi di natura parafamiliare quando sono presenti:

  • relazioni intense ed abituali;
  • “consuetudini di vita” che si formano fra soggetti;
  • soggezione di una parte nei confronti dell’altra;
  • fiducia riposta dal soggetto debole rispetto a colui che assume una posizione di supremazia e da cui dunque si aspetta assistenza.

In tale ipotesi i comportamenti discriminatori e vessatori subiti dal dipendente – familiare possono integrare gli estremi dell’art. 572 c.p.

Pertanto, per provare la sussistenza della circostanza della persecuzione di cui all’art. 572 c.p.  non è sufficiente il riferimento alla mera conoscenza di particolari della vita privata del lavoratore (condizione assai frequente nelle piccole imprese), essendo, invece, necessaria un’assidua comunanza di vita, che deve tradursi in una stretta ed intensa relazione tra i soggetti coinvolti, caratterizzata dalla condivisione di tutti i momenti tipici del contesto familiare (dal consumo comune dei pasti, al pernottamento nei medesimi luoghi, ecc.).

Il che di fatto limita enormemente il campo di applicazione della norma in oggetto. Ma se mancano questi aspetti non può in alcun modo ritenersi configurabile il reato di cui all’art. 572 del c.p.

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