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Nuove tecnologie, etica e organizzazione del lavoro

Proseguiamo con questo secondo intervento la nostra collaborazione con Paolo Gentile (Sociologo del lavoro e dell’organizzazione) con l’intento esplorare il lavoro al tempo dei robot, con gli strumenti dell’ergonomia.

I modelli organizzativi sono la conseguenza dell’introduzione delle tecnologie o il risultato di scelte etiche e paradigmi che si confrontano?

Nell’ultimo decennio, si sono moltiplicati gli studi e le analisi previsionali su come si trasformerà il lavoro in questo secolo.
I cambiamenti delle forme di lavoro non sono solo la conseguenza dell’evoluzione tecnologica, perché la principale causa di mutamento dei modelli organizzativi è rappresentata dall’adesione a comportamenti e scelte economiche, politiche ed etiche da parte degli attori sociali che si confrontano sul mercato e nella società. Basti osservare che la precarizzazione del lavoro, cui abbiamo assistito in questi ultimi decenni, non si è realizzata per l’immissione massiccia di tecnologie, ma da una competizione sui costi del lavoro (la ricerca esasperata del costo più basso, frutto di una globalizzazione non governata). Spesso questa condotta è stata accompagnata e giustificata da scelte della classe politica alle prese con una finanza pubblica dissestata, eccessivamente indebitata. Basti pensare alla precarietà nella scuola e nella sanità, al blocco delle assunzioni di personale e al ricorso alle “cooperative” per far fronte al fabbisogno di personale; alla dismissione di tutte le attività di manutenzione dei beni pubblici, che nel migliore dei casi sono state affidate in appalto con gare al massimo ribasso, salvo dover ricorrere ad ulteriori e più costosi appalti per riparare i danni causati. Si è arrivati a precarizzare il lavoro dei professori (a contratto) nelle università fino ad arrivare alla magistratura con l’impiego dei magistrati onorari. Non c’è ambito di lavoro pubblico che non abbia fatto ricorso al lavoro precarizzato per provare ad aggiustare i propri bilanci (senza per altro riuscirci).

Ovviamente a queste scelte pubbliche si sono affiancate altrettante scelte di attori privati, facilitati in molti casi (anche se non necessariamente) da strumenti tecnologici che possono essere utilizzati per amplificare queste tendenze organizzative deregolamentate.

Ne sono esempi alcune applicazioni informatiche che permettono di offrire una intermediazione tra chi richiede un servizio (generalmente a basso costo) e chi è disposto ad offrirlo (a qualsiasi prezzo pur di lavorare), senza la necessità di realizzare infrastrutture organizzative. L’infrastruttura è un algoritmo in grado di controllare e gestire quel lavoro in tutto il mondo.

Alcuni esempi:

  • UBER. Intermediario nel trasporto urbano in grado di gestire e controllare da remoto il lavoro di migliaia di autisti disposti a pagare l’intermediazione per trasportare clienti a cui altrimenti non riuscirebbero ad arrivare.
  • Deliveroo. Intermediario nella ristorazione a domicilio.
  • Washmycar. Per lavare a domicilio la propria auto, vado a lavorare, parcheggio l’auto e qualcuno mentre io continuo a lavorare viene a lavarmi l’auto, anche in mia assenza.

Applicazioni di questo tipo stanno nascendo in tutti i settori: piccoli lavori di manutenzione casalinghi, fattorini, parrucchieri, colf, traduzioni, massaggiatori, ecc.

Tutte queste applicazioni sono esempi di lavoro precario che può durare anche tutta la vita per i nuovi contingent workers, “lavoratori alla spina” come sono stati definiti da Riccardo Iacona nella puntata di Presa Diretta del 17 febbraio 2018.

Attenzione: questi sono esempi di una organizzazione del lavoro che è la conseguenza di scelte etiche, non una necessità dettata dalle tecnologie. Le stesse tecnologie potrebbero favorire organizzazioni diverse, regolamentate nei diritti  dei lavoratori, per offrire il massimo della qualità in alternativa al prezzo più basso.

Un esempio di applicazione progettata per gestire l’intermediazione nei servizi di lavanderia è l’inglese Laundrapp, che vuol fornire un servizio ad alto valore aggiunto: si può prenotare il servizio di lavanderia attraverso un app, gli addetti passano a ritirare gli abiti da lavare a casa o al lavoro, e al termine del servizio riconsegnano gli abiti puliti e stirati. In questo caso, per realizzare il servizio, Laundrapp punta su lavoro dipendente di qualità e regolamentato.

Anche nell’impiego delle nuove tecnologie si confrontano quindi due grandi tradizioni etiche:

  • da un lato si rivendica un uso liberale del progresso scientifico, che permetta all’imprenditore di organizzarsi senza lacci e lacciuoli, considerando questo come l’unica ricetta per creare lavoro e benessere;
  • dall’altro si richiede un uso “sociale” delle innovazioni tecnologiche, che punti sulla responsabilità sociale dell’impresa, attraverso la quale garantire condizioni di lavoro dignitose e permettere il finanziamento di un sistema di welfare in grado di garantire uno standard minimo di diritti pubblici.

Il confronto tra capitale e lavoro si sta rinnovando; prosegue, pur nel cambiamento delle forme esteriori, nelle scelte delle classi dirigenti, e nelle scelte organizzate dei lavoratori.

Quello di cui si scorge il bisogno è una rivoluzione culturale, la crescita di leader visionari. Non si tratta di immaginare una transizione a nuove forme di lavoro, pur nella continuità dei modelli organizzativi, ma di immaginare un salto di paradigma che ci consenta di immaginare il lavoro con modalità e forme completamente diverse rispetto al passato.

Ogni cambiamento sociale, ogni innovazione tecnologica, crea problemi e nel contempo opportunità, produce vittime e consente avanzamenti delle condizioni di vita e di lavoro, e ad ogni fase di cambiamento si ripropone quella che Domenico De Masi, ne Il lavoro nel XXI secolo, definisce la contraddizione tendenziale degli addetti al progresso che si può sintetizzare con la seguente considerazione:

  • i progettisti di futuro si disinteressano delle vittime del progresso che stanno realizzando,
  • i difensori delle vittime si disinteressano del futuro.

Se vogliamo far si che le ricadute positive dei processi di cambiamento in atto siano per molti e non per pochi risulterà strategica la formazione professionale per  sindacalisti e lavoratori, il cui ruolo nel processo produttivo cambierà radicalmente insieme all’organizzazione e ai rapporti tra le diverse categorie di lavoratori.  Secondo Luciano Pero, questa fase si manifesta con una riduzione evidente della distanza collaborativa tra operai, ingegneri e manager. Per esempio, alla Fiat di Pomigliano, con 30 suggerimenti l’anno, il contributo dei lavoratori nel migliorare il processo produttivo e favorire la riduzione dei costi è altissimo (Mancino M., 2015). Se cambia il lavoro deve cambiare il sindacato.

La tecnologia, oggi alla portata di tutti, permette di condividere informazioni in tutto il mondo ed in maniera istantanea. Stiamo vivendo una rivoluzione che plasma la società del futuro e siamo chiamati ad uno sforzo creativo per descrivere un nuovo contesto sociale, che tenga conto delle vittime del progresso senza per questo contrastarlo o negarne l’utilità.

È necessario cambiare il modo di affrontare i problemi e risolverli, puntare sul lavoro di gruppo, sulla capacita di pensare fuori dagli schemi (Mastrolilli P., 2015). Occorre incentivare e rivendicare partecipazione, per contrastare l’alienazione sociale, e contro la falsa partecipazione e il falso coinvolgimento con cui si tenta di sedurre, manipolare, incorporare l’individuo. Ma come si riconosce la richiesta di partecipazione dal coinvolgimento a fini manipolatori? Dal rispetto.

Lo sviluppo della robotica e dell’Intelligenza Artificiale è in piena accelerazione. Queste tecnologie avranno senza dubbio un impatto gigantesco sul mondo del lavoro. Se in termini di efficienza e risparmio economico, e anche di sicurezza, i robot sicuramente cambieranno in positivo il manifatturiero (ma anche il settore dei trasporti, l’assistenza medica, l’agricoltura), evitando molti dei rischi e dei compiti usuranti o ripetitivi per l’uomo, è altrettanto vero che gran parte del lavoro attualmente svolto dagli esseri umani sarà sostituito, e questo solleva preoccupazioni per il futuro dell’occupazione e la sostenibilità dei sistemi di previdenza sociale. È possibile che nel giro di pochi decenni l’intelligenza artificiale superi la capacità intellettuale umana al punto che, se non saremo preparati, potrebbe mettere a repentaglio la capacità degli umani di controllare ciò che hanno creato.

La capacità (dei robot) di prendere decisioni, per autonomia cognitiva e apprendimento, li renderebbe più simili ad agenti dell’ambiente circostante, (Verdesca D., 2016) con i quali l’uomo dovrà interagire.

Un nuovo contratto sociale.

Le nuove forme che il lavoro assumerà ci costringeranno a rivedere le nostre idee sul lavoro, sui tempi da dedicare al lavoro e su cosa significa lavorare in una società dove gran parte del lavoro esecutivo, ma anche parte del lavoro intellettuale e di cura delle persone, potrà essere delegata ai robot.

Afferma Carlo Ratti, professore del MIT (Massachusetts Institute of Technology) e tra i pionieri dell’intelligenza artificiale, che

sarà necessario un nuovo contratto sociale anche perché verranno distrutti milioni di posti di lavoro, per poi (successivamente) crearne altri.

L’impatto sull’occupazione diviene rilevante, perché vi è certamente un effetto compensativo di lungo periodo fra i posti di lavoro persi con l’automazione degli impianti e l’espulsione di lavoratori generici, e quelli guadagnati con l’immissione di lavoratori qualificati nella produzione e gestione di quelle stesse macchine automatiche. Tuttavia gli effetti compensativi non si manifestano negli stessi luoghi e negli stessi tempi. Nella transizione si avranno disoccupati espulsi e inoccupati che non entrano nei cicli produttivi e, contemporaneamente, una richiesta non soddisfatta di competenze irreperibili negli stessi tempi con cui la struttura industriale si aggiusta. (Bianchi P., 2018)

Non possiamo quindi accontentarci di pensare che nel lungo termine le cose si aggiusteranno: dobbiamo preoccuparci dell’oggi, della transizione, perché come diceva John Maynard Keynes

nel lungo termine saremo tutti morti.

Dobbiamo pensare alle generazioni di oggi, proteggerle, accompagnarle verso il futuro, dargli una chance.

Da anni Domenico De Masi ci descrive un futuro dove occorrerà ridurre drasticamente l’orario di lavoro e recuperare il concetto di ozio creativo. Uno scenario che sembrerebbe avere delle chance se i sindacati dei metalmeccanici tedeschi riescono a concludere un’intesa pilota in vista del nuovo contratto collettivo di settore che prevede la possibilità della settimana lavorativa da 28 ore.

La fabbrica robotizzata del XXI secolo ci avvicinerà alla possibilità di produrre merci senza apporto di lavoro umano, il commercio elettronico eliminerà buona parte degli intermediari e dei rivenditori tradizionali, tutto il lavoro manuale e intellettuale che potrà essere sostituito dalle macchine verrà sostituito.

I robot saranno i nuovi schiavi dell’umanità? O un esercito al servizio di nuovi poteri?
La risposta dipenderà dalla società che riusciremo ad immaginare, condividere e costruire.

Per approfondire:

Patrizio Bianchi, 4.0 la nuova rivoluzione industriale, il Mulino, Bologna 2018
Michele Mancino, Se cambia la fabbrica deve cambiare anche il sindacato, VareseNews 15 luglio 2015, su www.varesenews.it
Paolo Mastrolilli, citazione di Roberto Panzarani, da Il futuro del lavoro nell’era della globalizzazione, su Paolo Gentile (a cura di), La tutela dell’integrità fisica e della personalità morale nel lavoro che cambia, edizioni Palinsesto, Roma 2015.
Daniele Verdesca, ROBOT: Proposta UE per Status giuridico alle macchine, su RSPP n.70 ottobre 2016

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