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Nuovi percorsi di formazione nel lavoro

La rubrica Angolo Acuto si è già soffermata sui nuovi metodi formativi, partendo da due considerazioni: la sempre maggiore necessità di formazione permanente nelle aziende e la minor attrattività dei metodi formativi tradizionali.
Le due considerazioni sono strettamente legate e si sostengono a vicenda.

I nuovi studi sui processi di lavoro non sono più finalizzati a migliorare le performance dei lavoratori o dei reparti, ma all’efficacia dell’intero processo produttivo, visto come un unico blocco di azioni interconnesse e dipendenti dalle relazioni e dai comportamenti assunti dai singoli: l’azienda è un organismo che autoapprende.

In definitiva non si tratta più di perfezionare gesti, o incrementare motivazioni, ma di mettere a punto ogni fase del processo produttivo, di osservare per modificare e/o risolvere i problemi che inevitabilmente si creano durante la normale e quotidiana attività.

L’attenzione si sposta dalla direzione centrale alla collaborazione continua di tutto il personale. Per operare questo passaggio serve non solo l’attenzione al fare, ma anche al saper fare (la conoscenza e la teorizzazione di ciò che si osserva) e al saper essere (strutturare la propria professionalità in modo proattivo e non solo come diligente esecuzione o mero rispetto delle linee guida o delle procedure interne).

Serve quindi una formazione permanente, come parte del processo produttivo e della sua efficienza ed efficacia. Una formazione rivolta a tutti e per questo complessa, visto che deve tener conto delle caratteristiche individuali, della diversa età ed esperienza, di vicinanza o lontananza dal periodo degli studi, e soprattutto di adulti che hanno approcci e motivazioni molto distanti da quelli sperimentati nel più o meno lungo periodo scolastico.

La formazione tradizionale svolta in aula tende a riproporre l’impostazione scolastica, con metodologie non in linea con la posizione dell’adulto e lontane dagli obiettivi aziendali. Questi infatti non sono l’incremento della mole di nozioni e conoscenze, ma l’aumento di responsabilità, autonomia e motivazione nell’intera comunità aziendale.

Ecco dunque la necessità di nuovi metodi, quali l’apprendimento esperienziale (Experiential Learning), basato sull’esperienza cognitiva, emotiva o sensoriale. Un metodo formativo che guarda al processo di apprendimento come a una realizzazione attraverso l’azione e la sperimentazione di situazioni, compiti, ruoli in cui il soggetto, attivo protagonista, si trova a mettere in campo le proprie risorse e competenze per l’elaborazione e/o la riorganizzazione di teorie e concetti volti al raggiungimento di un obiettivo.

La teoria dell’apprendimento esperienziale è stata definita dallo statunitense David Kolb sulla base di numerosi studi, svolti da autorevoli scienziati sia dell’organizzazione aziendale che della pedagogia per adulti. Il suo metodo si basa su un ciclo di apprendimento.

Il ciclo si articola in 4 fasi sequenziali:

  • esperienza concreta
  • osservazione riflessiva
  • concettualizzazione astratta
  • sperimentazione attiva

L’esperienza concreta è il momento in cui il soggetto è immerso nel fare e apprende dalle proprie percezioni e reazioni all’esperienza stessa. Al contempo le sensazioni e comportamenti attivati lo spingono verso un’azione di riflessione e di osservazione (osservazione riflessiva) valutando il problema da molteplici punti di vista e acquisendo consapevolezza dell’esperienza vissuta.
La comprensione degli eventi è l’interpretazione avvenuta attraverso l’osservazione riflessiva, e porta il soggetto a elaborare concetti integrando le osservazioni in teorie di riferimento (concettualizzazione astratta). Intenzionalità e consapevolezza si configurano come elementi fondamentali nella fase successiva (sperimentazione attiva) in cui teorie e concetti vengono testati attraverso l’azione. Quest’ultima fase genera a sua volta una nuova esperienza in quanto le conoscenze così acquisite spesso producono nuovi modi di fare e di pensare.

Un ciclo che normalmente avviene a livello individuale viene sostenuto, guidato e finalizzato collettivamente verso il miglioramento qualitativo del processo produttivo aziendale.
La formazione servirà quindi ad aiutare il soggetto a eseguire il ciclo correttamente, armonizzando insieme ad altri colleghi gli strumenti di riflessione e concettualizzazione, e infine a indirizzarli verso una progettazione collettiva di miglioramento.
La formazione non sarà quindi un processo astratto e “fuori” dalla concreta attività aziendale, ma una sorta di simulazione che renda familiare il percorrere sapientemente l’intero ciclo per poi riprodurlo nella vita lavorativa.

Questo processo produttivo si avvale, scrive Kolb, di una serie di strumenti, alcuni dei quali già noti: dal role playing al business game, dal brain storming alla narrazione autobiografica.

In definitiva, se la formazione non è più l’assimilazione astratta di nozioni o conoscenze, ma uno strumento costante di produzione, i metodi utilizzati finora vanno cambiati e resi attrattivi, percorribili da tutti, e soprattutto efficaci nel vivo del processo produttivo. Non ci si deve accontentare di una certificazione da appendere alla parete o da inserire nel fascicolo personale del lavoratore.

Naturalmente, essendo il benessere una qualità del lavoro, rientra a pieno titolo in questo processo formativo fin qui descritto il tema della salute e della sicurezza.

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