Caduta mortale: la titolarità di una posizione di garanzia del datore di lavoro non comporta un automatico addebito di responsabilità. Responsabilità del preposto e condotta negligente del lavoratore.
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 21/04/2016
Fatto
1. Con sentenza resa l’8 aprile 2015, la Corte d’appello di Campobasso, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Larino in data 19 giugno 2013, riduceva a sei mesi di reclusione, con concessione di attenuanti generiche prevalenti ed esclusione della continuazione, la pena – condizionalmente sospesa – applicata in primo grado a G.V. (oltreché a G.I.) in relazione al delitto di omicidio colposo in regime di cooperazione colposa con terzi aggravato dalla violazione di norme prevenzionistiche, commesso in Termoli il 21 dicembre 2005, riducendo altresì la provvisionale posta a suo carico e dichiarando l’estinzione per prescrizione dei reati contravvenzionali a lui contestati come da rubrica. Con la stessa sentenza veniva invece assolto il direttore dei lavori L.B., condannato in primo grado.
Tanto in riferimento a un infortunio sul lavoro occorso ad A.L., dipendente dell’Impresa edile di cui il G.V. era titolare; il lavoratore stava eseguendo la coibentazione di un terrazzo di un edificio adibito ad alloggio del Comandante della Capitaneria di Porto di Termoli, quando inavvertitamente inciampava sul bordo del terrazzo e precipitava nel vuoto, producendosi i gravi traumatismi cranici di cui in atti, che lo traevano quasi immediatamente a morte. L’addebito mosso al G.V. nella sua qualità é quello di avere organizzato le lavorazioni permettendo che il A.L. lavorasse su un punto privo di parapetti o altre opere idonee a impedire le cadute e non indossasse le cinture di sicurezza; e di non avere vigilato a che il detto lavoratore osservasse le norme di sicurezza e usasse i dispositivi anticaduta.
Dalla lettura della sentenza impugnata emerge che a tutti i lavoratori erano stati consegnati i presidi antinfortunistici necessari, comprese le cinture di sicurezza che, se indossate, avrebbero impedito il decesso del A.L.; quanto all’assenza di parapetti sulle postazioni assegnate ai lavoratori (fra cui la vittima), la Corte di merito, nel solco di una richiamata giurisprudenza di legittimità, escludeva che si potesse porre a carico del datore di lavoro l’obbligo di curare la presenza di parapetti nel caso in cui (come nella fattispecie in esame) i lavoratori fossero stati forniti di cinture di sicurezza; in tal senso venivano esclusi i corrispondenti profili di colpa ravvisati in primo grado. Ma, precisava la Corte, restava a carico del G.V. (e del coimputato G.I., nella sua qualità di capocantiere e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza) l’obbligo, nella specie non adempiuto, di controllare che i lavoratori indossassero le cinture di sicurezza durante l’attività lavorativa. Ciò a maggior motivo in relazione alla peculiare lavorazione in corso, in quanto il A.L. stava provvedendo alla stesura e alla srotolatura della guaina di coibentazione non già dal bordo verso il centro del terrazzo ma dal centro verso il bordo, con la conseguenza che il lavoratore si veniva a trovare con le spalle rivolte al vuoto. La violazione di detto dovere di sorveglianza, pur a fronte del ridimensionamento delle censure ascrivibili al G.V., confermava la configurabilità in capo al medesimo di un profilo di colpa incidente, sul piano causale, sul verificarsi dell’infortunio a esito mortale.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre il G.V., per il tramite del suo difensore di fiducia. Il ricorso é articolato in sei motivi.
2.1. Con il primo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione, anche con travisamento della prova: deduce il ricorrente che la Corte di merito ha omesso qualsiasi valutazione e argomentazione in ordine alla posizione di garanzia del G.V., la cui qualifica di datore di lavoro doveva essere valutata tenendo presente che vi erano anche altri soggetti gravati da analogo obbligo di garanzia, ossia il direttore dei lavori L.B., che la Corte territoriale ha invece mandato assolto, e il capocantiere G.I., a sua volta condannato, entrambi regolarmente e formalmente designati nelle rispettive funzioni.
2.2. Con il secondo motivo si lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all’interruzione del nesso causale tra la condotta omissiva ascritta al G.V. e l’evento mortale: premesso che, per valutare la presenza di fattori interruttivi del rapporto di causalità, occorre verificare se essi si pongano su un piano di eccentricità rispetto al rischio gestito dal garante (all’uopo viene citata la recente giurisprudenza a Sezioni Unite, sentenza Espenhahn e altri, n. 38343/2014), deduce il ricorrente che si rende necessario individuare il soggetto che era nella specie chiamato a governare il rischio tragicamente concretizzatosi; e che quel soggetto non poteva essere nella specie il G.V., il quale aveva redatto regolare Documento generale per la sicurezza e l’igiene, aveva formalmente nominato lo G.I. quale capocantiere e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, aveva redatto regolare Piano operativo per la sicurezza, contenente la valutazione dei rischi, nonché l’individuazione delle procedure e dei ruoli di chi vi doveva provvedere. Nella specie quindi, conclude il ricorrente, la sfera di responsabilità in ordine alla concreta esecuzione della lavorazione ricadeva sul preposto, e non sul datore di lavoro.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge processuale e vizio di motivazione in relazione all’inutilizzabilità di quanto dichiarato dal teste B. in ordine al fatto – ritenuto in sentenza – che il A.L. procedeva allo srotolamento della guaina di coibentazione dal centro verso il bordo del terrazzo: circostanza in realtà riferita in modo solo congetturale dal teste (oltretutto in sede di sommarie informazioni, lette in udienza dal Pubblico ministero senza procedere a formale contestazione e contro l’opposizione della difesa), laddove lo stesso B., a fronte di ciò, dichiarava in aula di non avere in realtà visto il A.L. né nel momento della caduta, né negli istanti immediatamente precedenti.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente censura violazione di legge processuale e vizio di motivazione, sotto la specie della motivazione apparente e del travisamento della prova per omissione, avendo la Corte di merito omesso di considerare quanto riferito dal teste B. circa il fatto che, quando si verificò l’incidente, i lavori erano del tutto fermi.
2.5. Con il quinto motivo di ricorso si denunciano violazione di legge processuale e vizio di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova, in riferimento alle dichiarazioni del teste oculare M.: precisa il ricorrente che questi dichiarò di avere visto il A.L. cadere a faccia in giù, con il ventre verso il basso, compiendo poi una semicapovolta e andando quindi a urtare con la nuca; mentre in sentenza si afferma che lo stesso teste avrebbe dichiarato che il A.L. non sarebbe caduto a faccia in giù, ma avrebbe dapprima impattato con la nuca sul terreno e poi, compiendo una semicapriola, si collocava con la parte anteriore del corpo verso il terreno. La circostanza é rilevante per stabilire le cause dell’incidente, perché quanto riferito dal M. (semplice passante, dunque del tutto indifferente alle sorti del processo) fa ritenere che potesse essersi trattato di un semplice malore, ed integrerebbe una circostanza improvvisa ed estranea al contesto lavorativo.
2.6. Con il sesto e ultimo motivo, il ricorrente denuncia violazione di legge processuale e vizio di motivazione, con riferimento al passaggio motivazionale in cui la Corte di merito riferisce che la vittima stava “avvolgendo” la guaina di coibentazione dando le spalle al muretto, laddove l’operazione prevista era quella di srotolamento della guaina (la foto n. 3 allegata al ricorso dimostrerebbe che detta operazione veniva svolta dal bordo verso il centro); se, come sostiene la Corte di merito, il A.L. stava veramente riavvolgendo la guaina, la sua condotta sarebbe quindi anomala, in quanto decisa autonomamente e inspiegabilmente, con conseguente interruzione del nesso causale tra la condotta ascritta all’imputato e l’incidente occorso al A.L..
Diritto
1. Conviene procedere unitariamente all’analisi dei primi due motivi di ricorso (riferiti alla posizione di garanzia del ricorrente e alla configurabilità del nesso di causalità fra la sua condotta e l’evento), motivi che involgono aspetti di carattere generale non privi di elementi comuni e che, riportati alla specificità del caso, fanno emergere profili deponenti per la fondatezza del ricorso.
All’uopo, conviene preliminarmente fissare alcuni principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità che si ritengono rilevanti e pertinenti in relazione al caso di che trattasi.
2. Un primo profilo di criticità nella motivazione della sentenza impugnata attiene alla questione della titolarità e dei contenuti della posizione di garanzia attribuita al ricorrente.
Al riguardo, la sentenza impugnata, pur circoscrivendo la responsabilità colposa ravvisabile in capo agli imputati G.V. e G.I. al solo aspetto dell’omessa vigilanza sull’uso dei dispositivi di sicurezza che avrebbero impedito l’evento, non opera una reale distinzione fra le posizioni di garanzia del G.V. e dello G.I., nelle rispettive qualità di datore di lavoro e di preposto (tale dovendosi considerare il capo cantiere e responsabile dei lavoratori per la sicurezza); né risulta che, nella pronunzia della Corte territoriale, siano state operate particolari distinzioni fra l’area di rischio governata dall’uno e quella governata dall’altro.
A fronte di ciò, va chiarito che gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere trasferiti con riferimento a un ambito ben definito e non all’intera gestione aziendale, in modo espresso, effettivo e non equivoco in capo ad altro soggetto (nella specie, il preposto) a un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261108); oltre a ciò va considerato che l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite ad altro soggetto garante non può tuttavia avere per oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni, concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte di quest’ultimo. Ne consegue che l’obbligo di vigilanza datoriale é distinto da quello del soggetto al quale vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo, e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni (Sez. 4, n. 10702 del 01/02/2012, Mangone, Rv. 252675).
2.1. Tanto osservato, dalla lettura della sentenza impugnata e degli atti allegati al ricorso emergono alcuni elementi non privi di rilievo al riguardo.
2.1.1. In primo luogo, consta che lo G.I., che rivestiva la qualità di capo cantiere (e che viene qualificato nell’impugnata sentenza come preposto alla sorveglianza sul rispetto delle normative antinfortunistiche), veniva formalmente nominato in data antecedente l’infortunio responsabile dei lavoratori per la sicurezza, ricevendo istruzioni in merito al Piano di sicurezza e coordinamento (che gli veniva consegnato); veniva inoltre designato quale incaricato di attuare le misure di pronto soccorso, prevenzione incendi, evacuazione dei lavoratori; e, al pari di altri lavoratori tra cui la vittima A.L., riceveva le dotazioni di sicurezza necessarie (materiale antinfortunistico e indumenti di lavoro, ivi comprese le cinture di sicurezza). In tutti i documenti attestanti quanto sopra é presente la firma per accettazione dello G.I..
Orbene, anche prescindendo dal conferimento di una delega di funzioni, che in allora non era in forma scritta (come invece é oggi stabilito testualmente dall’art. 16, D.Lgs. n. 81/2008), la qualifica di preposto dello G.I., i poteri e le facoltà a lui conferiti a tal fine, la sua esperienza e la sua formazione lasciano ritenere che egli avesse pienamente assunto la funzione e i doveri di garanzia pertinenti alla detta qualifica, nei termini e per le finalità di cui alla normativa prevenzionistica (nel quadro normativo attuale, vds. artt. 2, comma 1, lettera e., e 19 D.Lgs. n. 81/2008): le figure dei garanti hanno infatti una originaria sfera di responsabilità che non ha bisogno di deleghe per essere operante, ma deriva direttamente dall’investitura o dal fatto; in altre parole, ciò che conta é che per la posizione datoriale non vi é effetto liberatorio senza attribuzione reale di poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa pertinenti all’ambito delegato (in tal senso vds. la citata Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, par. 15).
Tornando al caso che ne occupa, lo G.I., nella qualità a lui attribuita di preposto e di titolare di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità dei lavoratori, era responsabile degli infortuni loro occorsi in violazione degli obblighi derivanti da detta posizione di garanzia in quanto titolare dei poteri necessari per impedire l’evento lesivo in concreto verificatosi (Sez. 4, n. 12251 del 19/06/2014, dep. 2015, De Vecchi e altro, Rv. 263004): egli, dunque, era nelle condizioni di gestire la sfera di rischio a lui conferita, intesa come area che designa l’ambito in cui si esplica l’obbligo di governare le situazioni pericolose che conforma l’obbligo del garante.
2.1.2. In aggiunta a ciò – e di tanto dà atto la sentenza impugnata – deve sottolinearsi che, pur a fronte delle sue responsabilità di capo cantiere e di preposto, lo G.I., nel momento in cui avvenne l’infortunio, si era allontanato dal cantiere per rifornire di gas alcune bombole, omettendo così di sorvegliare sullo svolgimento in sicurezza delle operazioni e, per ciò che attiene al caso specifico, di imporre al A.L. di indossare le cinture di sicurezza che, se impiegate come previsto, gli avrebbero salvato la vita.
Cionondimeno, la Corte di merito ha ritenuto di ravvisare ugualmente la corresponsabilità del G.V. per omessa vigilanza, sul rilievo che di essa il datore di lavoro – pur avendo predisposto i documenti prescritti a fini prevenzionistici e consegnato ai lavoratori i dispositivi di protezione individuale, e non essendogli contestata alcuna violazione del dovere di formazione e informazione dei dipendenti a fini di prevenzione degli infortuni – dovrebbe rispondere comunque, in quanto tenuto a «controllare costantemente» il rispetto delle prescrizioni prevenzionistiche e l’adozione delle misure di sicurezza, fatto salvo il caso del comportamento abnorme, eccezionale e imprevedibile del lavoratore (pagg. 11-12 sentenza impugnata).
2.2. Non può sottacersi che la motivazione della sentenza impugnata si appalesa carente e comunque criticabile sotto alcuni, rilevanti profili.
2.2.1. In primo luogo, sotto il profilo della verifica circa la configurabilità dell’effettiva assunzione, da parte dello G.I., dei compiti di sorveglianza sull’osservanza delle disposizioni prevenzionistiche e sull’uso dei dispositivi di protezione individuale, propri della sua posizione di preposto, in guisa tale da esimere nel caso di specie il datore di lavoro dalle concorrenti responsabilità di garante, fatta salva come detto la generale vigilanza del datore di lavoro sulla complessiva gestione del rischio.
2.2.2. In secondo luogo, sotto il profilo dell’esigibilità, in capo al datore di lavoro, di un dovere di sorveglianza che, pure in presenza di un soggetto da lui designato quale preposto, si spingesse a un controllo costante e ininterrotto del rispetto delle prescrizioni in tema di sicurezza da parte dei lavori: esigibilità che invece, secondo la richiamata giurisprudenza della Corte regolatrice, non si estende all’obbligo di monitoraggio “momento per momento” delle lavorazioni e dell’ottemperanza alle prescrizioni antinfortunistiche da parte dei lavoratori e degli altri soggetti obbligati (cfr. la già citata sentenza Mangone, Rv. 252675; e si veda anche, con riferimento all’inesigibilità di una persistente attività di costante verifica dell’utilizzo dello strumentario di sicurezza da parte del titolare della posizione di garanzia, Sez. 4, n. 10712 del 14/02/2012, Mastropietro, non massimata).
3. Criticità nella motivazione della sentenza impugnata devono ravvisarsi anche con riferimento alla riferibilità causale dell’evento mortale alla condotta omissiva attribuita al G.V., anche in relazione alla condotta tenuta dalla vittima.
Il problema del nesso causale nei reati omissivi impropri, affrontato dalle Sezioni Unite con la nota sentenza Franzese (Sez. U, n.30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138), é stato recentemente ripreso e rielaborato dalla giurisprudenza apicale di legittimità con la sentenza relativa alla vicenda Thyssenkrupp, nella quale si é affermato che il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto (Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261103).
3.1. Nel caso di specie, si riscontrano alcune significative peculiarità, che incidono in modo rilevante sulla riferibilità causale dell’evento mortale occorso al A.L. alla condotta (che si assume colposamente omissiva) ascritta al G.V..
A premessa della breve disamina riferita a dette peculiarità, é opportuno ribadire che, per quanto si é detto, il comportamento doveroso richiesto al G.V. non era, né poteva essere quello di esercitare un costante e ininterrotto monitoraggio dell’attività lavorativa e dell’adozione delle cautele prevenzionistiche necessarie; che a tal fine la sorveglianza diretta, immediata e tendenzialmente continuativa competeva al soggetto preposto, ovvero lo G.I.; che quest’ultimo si era allontanato dal cantiere di cui era responsabile nel momento in cui avvenne l’infortunio, così omettendo di sorvegliare sull’esecuzione in sicurezza delle lavorazioni e sull’impiego delle cinture di sicurezza da parte dei lavoratori; che il A.L. non indossava le cinture di sicurezza al momento dell’infortunio; e che, ove le avesse indossate (dato che la sentenza impugnata riconosce, sulla scorta di ampio e puntualmente descritto compendio probatorio), l’evento mortale non si sarebbe verificato.
3.2. Così evidenziati gli elementi peculiari della fattispecie concreta in esame, non può non farsi ricorso alla verifica dei fattori che si sono inseriti nella serie causale che portò alla morte del lavoratore, onde accertarne la rilevanza interruttiva del decorso causale tra la condotta del G.V. e l’evento mortale.
A tal proposito, alla stregua delle emergenze probatorie, sia l’allontanamento dal luogo di lavoro dello G.I. (la cui posizione di garanzia quale preposto é stata più volte ricordata), sia il comportamento negligente della vittima (che ometteva di indossare le cinture di sicurezza, che sarebbero state decisive per impedirne il decesso e che gli erano state debitamente consegnate) si pongono come eventi eziologicamente rilevanti nella causazione dell’evento, al punto che il concorso di detti fattori risulta potenzialmente idoneo a interrompere il nesso causale tra la condotta del G.V. e l’evento occorso al A.L..
Al riguardo, a titolo di esempio, non può non ricordarsi che la giurisprudenza della Corte regolatrice ha avuto modo, in alcune pronunzie, di precisare che, per comportamento “abnorme” del lavoratore, tale da esimere da responsabilità il titolare della posizione di garanzia a fini prevenzionistici, debba intendersi quello che sia “anomalo” ed “imprevedibile” e, come tale, “inevitabile”; cioè un comportamento che ragionevolmente non può farsi rientrare nell’obbligo di garanzia posto a carico del datore di lavoro (in tal senso vds. la citata Sez. 4, n. 10712 del 14/02/2012, Mastropietro, riferita a una dimenticanza del lavoratore – pur debitamente formato e fornito dello strumentario di sicurezza – che non aveva provveduto ad allacciare in modo adeguato il cordino di sicurezza; ed anche Sez. 3, n. 38209 del 07/07/2011, Negri e altro, Rv. 251294, in cui si é affermato che il datore di lavoro non risponde per la mancata adozione di misure atte a prevenire il rischio di infortuni ove la condotta non sia esigibile per l’imprevedibilità della situazione di pericolo da evitare – con riferimento a una fattispecie nella quale l’operaio deceduto aveva agito in palese violazione delle specifiche prescrizioni impostegli dal suo datore di lavoro -, atteso che, in tal caso, la condotta colposa del lavoratore assurgeva a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento).
3.3. Tanto rilevato, appare in proposito viziato il percorso argomentativo seguito dalla Corte di merito laddove essa ha escluso l’abnormità del comportamento del A.L. negando che lo stesso fosse “eccentrico” rispetto alle mansioni a lui affidate nell’ambito del ciclo produttivo. In realtà, la nozione di “eccentricità” del comportamento “interruttivo” del nesso causale da parte del lavoratore (per restare al lessico tradizionale) è declinata, dalla giurisprudenza apicale di legittimità, in modo affatto diverso da quello ritenuto dalla Corte territoriale. Nella già citata sentenza a Sezioni Unite n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, si precisa infatti che il comportamento del lavoratore assume rilevanza interruttiva del nesso di causalità fra la condotta del garante e l’evento lesivo o mortale «non perché “eccezionale” ma perché eccentrico rispetto ai rischio lavorativo che il garante é chiamato a governare». Di eccentricità, perciò, deve al riguardo parlarsi non già (come sostenuto dalla Corte di merito) con riferimento alle mansioni assegnate al lavoratore, ma rispetto alla sfera di rischio gestita dal garante.
Nello specifico si é visto che, soprattutto considerando che era stato designato un preposto (lo G.I.), a sua volta chiamato a governare una sfera di rischio nella quale rientrava l’ottemperanza alle norme di sicurezza da parte dei lavoratori impegnati nell’operazione in corso di svolgimento al momento dell’infortunio, la gestione del rischio-sicurezza da parte del G.V., nella sua qualità datoriale (tenuto conto della generalità degli ulteriori compiti che egli era in tale qualità chiamato ad espletare, anche sotto altri profili attinenti alla sicurezza dei dipendenti), non poteva estrinsecarsi in una inesigibile vigilanza “momento per momento” dell’osservanza delle regole prevenzionistiche e dell’impiego, da parte del A.L., dei dispositivi a tal fine a lui regolarmente consegnati.
Ciò assume ulteriore e più stringente rilievo – e di ciò la Corte territoriale non sembra tenere conto – se si considera che, come si é detto, al momento dell’incidente il preposto G.I. si era allontanato dal cantiere, quali che ne fossero i motivi; e che, fatto questo di non trascurabile importanza, non risulta dalla sentenza impugnata che vi fosse tra i lavoratori della ditta del G.V. una prassi improntata alla negligenza nell’uso delle cinture di sicurezza, tale da rendere viepiù prevedibile, e per ciò stesso meritevole di peculiare monitoraggio, il rischio derivante da comportamenti del tipo di quello tenuto dal A.L. il giorno del sinistro.
4. In conclusione, a fronte delle lacune sopra evidenziate nella motivazione della sentenza impugnata in ordine all’area di rischio che il ricorrente, quale datore di lavoro, era chiamato a gestire, deve rammentarsi che la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione – da parte del garante – di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso (ex multis Sez. 4, n. 24462 del 06/05/2015, – dep. 08/06/2015, Ruocco, Rv. 264128).
Nella specie l’iter motivazionale della sentenza oggetto d’impugnazione non si sottrae a critiche, non avendo convenientemente valutato né il contenuto e i limiti della posizione di garante assunta dal G.V. nella sua qualità datoriale, in rapporto alle specificità del caso concreto, alla presenza di un preposto (lo G.I.) e all’assunzione da parte di costui di specifici compiti di gestione dei rischio; né l’ipotizzabile interruzione del nesso causale e la prevedibilità ed evitabilità in concreto dell’evento, in relazione alla condotta negligente del lavoratore e al comportamento omissivo dello stesso preposto.
All’evidenza, quanto precede assume rilievo assorbente rispetto alle ulteriori questioni sollevate nel ricorso.
Perciò, l’impugnata sentenza va annullata con rinvio alla Corte d’appello di Salerno, per nuovo giudizio, nel quale si terrà conto dei principi sopra richiamati e degli elementi probatori da sviluppare e/o verificare al riguardo.
P.Q.M.
Annulla l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’appello di Salerno.
Così deciso in Roma, il 21 aprile 2016.