Pubblichiamo la prima parte di un interessante intervento di Natalia Paci, Avvocato e Professore a contratto di Diritto del lavoro all’Università di Urbino.
Presidente di Nie Wiem sul tema della sicurezza nelle piccole imprese, riassume in questo testo gli elementi essenziali, una sorte di Vademecum, per procedere sul tema della prevenzione in questa tipologia di aziende.
Piccole imprese e sicurezza sul lavoro: problematiche e strumenti di sostegno
1.La questione. Sicurezza sul lavoro e piccole imprese: un binomio difficile. – 2. Il quadro normativo. La legislazione di sostegno delle piccole imprese. 2.1 Le semplificazioni.
1. La questione. Sicurezza sul lavoro e piccole imprese: un binomio difficile
Le piccole imprese svolgono un ruolo centrale nell’economia europea dove circa 23 milioni di piccole e medie imprese producono oltre 75 milioni di posti di lavoro. Anche nel territorio italiano le piccole e medie imprese costituiscono oltre il 90% delle imprese: le microimprese (fino a 10 lavoratori) sono il 95,1%, mentre le medie (da 50 a 250 lavoratori) sono solo 1,6%.
Nonostante ciò, una notevole parte di esse non attua adeguate misure in materia di salute e sicurezza sul lavoro: dallo studio condotto dall’European Agency for Safety and Health at Work, gli infortuni sul lavoro nelle piccole imprese rappresentano l’82% di tutti gli infortuni sul lavoro ed il 90% di tutti gli incidenti mortali. Anche la più recente “Seconda indagine europea tra le imprese sui rischi nuovi ed emergenti (ESENER-2)” mostra che i lavoratori delle piccole imprese sono soggetti a maggiori rischi e le difficoltà nella gestione della salute e sicurezza è tanto più rilevante quanto più è ridotta la dimensione dell’impresa.
Se quindi è vero che le piccole imprese sono meno attente alla sicurezza sul lavoro, occorre individuarne le cause e verificare la presenza di adeguate risposte nella normativa vigente in materia di salute e sicurezza. Questo è lo scopo del presente focus tematico.
Un primo problema per le piccole imprese è senz’altro legato alle risorse economiche scarse che spesso induce a ridurre le spese legate all’attività di prevenzione. I costi della prevenzione consistono non solo nelle spese vive per la messa in sicurezza dei macchinari e degli ambienti di lavoro, ma anche nella necessità di ricorrere a personale qualificato (spesso consulenti esterni all’organico aziendale), senza contare il costo indiretto, derivante dal tempo tolto alla produzione, per impegnare il personale nella formazione obbligatoria in materia di sicurezza. In realtà, gli studi mostrano che la spesa per la prevenzione degli infortuni si traduce, in un’ottica a più lungo termine, in un risparmio per la stessa impresa, ma tale aspetto non viene solitamente preso in considerazione, soprattutto dalle realtà di minori dimensioni. In tali contesti, infatti, manca anche un altro fattore, quello culturale: l’assenza di cultura delle regole, in primis, e conseguentemente anche di cultura della sicurezza e della prevenzione. La mentalità frequente nelle piccole realtà imprenditoriali è purtroppo quella di considerare la valutazione dei rischi e la formazione in materia di sicurezza, come un mero adempimento burocratico. Nei lavoratori spesso manca una percezione del rischio aderente alla realtà, ma anche gli stessi datori di lavoro non pretendono dai propri dipendenti il rispetto delle norme di sicurezza.
Da questa assenza di cultura della prevenzione e della sicurezza discendono altri problemi caratteristici della piccola impresa o comunque collegati con la dimensione aziendale. In primis la scarsa presenza sindacale, in generale, ed in particolare di Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS) “effettivi”.
È, infatti, proprio della piccola realtà la contraddittoria abitudine della nomina dell’RLS ad opera non dei lavoratori, come prevede il D.Lgs. n. 81/2008 (all’art. 47, comma 3), ma dello stesso datore di lavoro, facendo quindi perdere di significato la nomina stessa e la relativa funzione. Al contrario, la figura del RLS diventa tanto più importante tanto più è piccola l’azienda, visto che la riunione periodica (art. 35, comma 1), quindi quel momento cruciale per la prevenzione della sicurezza, in cui i vari attori della sicurezza si riuniscono e si confrontano sui fattori di rischio e sull’elaborazione del documento di valutazione degli stessi, solo nelle aziende e nelle unità produttive che occupano più di 15 lavoratori avviene ex lege una volta l’anno (e in occasione di eventuali significative variazioni delle condizioni di esposizione al rischio, compresa la programmazione e l’introduzione di nuove tecnologie che hanno riflessi sulla sicurezza e salute dei lavoratori), perchè nelle realtà di dimensioni inferiori, invece, la sua convocazione è rimessa alla “facoltà”, quindi alla buona volontà, proprio del RLS (l’art. 35, comma 4).
Da tutte le difficoltà sopra elencate discende l’ulteriore conseguenza di una limitata adozione di sistemi di gestione della salute e sicurezza sul lavoro e di modelli di gestione ex art. 30 del D.Lgs. n. 81/2008.
Infine, la complessità del dettato normativo (costituito da 13 Titoli e 51 Allegati), rende la normativa di difficile interpretazione ed applicazione sopratutto per le realtà più piccole che difficilmente dispongono di personale esperto e specializzato, in grado di individuare, nel complesso corpus normativo le norme riferibili alla propria realtà produttiva e, soprattutto, di tradurne i precetti astratti in adempimenti pratici.
2. Il quadro normativo. La legislazione di sostegno delle piccole imprese
Raramente la piccola impresa è stata al centro del discorso giuslavoristico italiano e dei disegni di riforma della regolazione del lavoro (Tursi A., 2009) ed anche in materia di salute e sicurezza gli studi specifici dedicati alle realtà di minori dimensioni sono pochissimi. Anche il D.Lgs. n. 81/2008 (di seguito TU) individua la grande impresa come interlocutore privilegiato. Tuttavia, all’interno del testo unico, si rintracciano diverse norme di sostegno della media, piccola e micro impresa che possono venire incontro ad ogni specifico problema individuato nel paragrafo precedente.
In merito alla complessità degli adempimenti normativi, ad esempio, il TU ha risposto con una semplificazione sia gestionale (art. 29, c. 5; art. 34) che degli adempimenti formali (art. 3, c. 13; art. 53, c. 5; art. 8, c. 4).
Le difficoltà legate, invece, ai costi della sicurezza sono state affrontate introducendo varie forme di sostegno economico per le piccole e medie imprese (art. 11, c.1 e 5; art. 52).
Mentre la diffusione della cultura della sicurezza viene promossa con il sostegno alla formazione, in particolare nelle piccole e medie imprese (art. 9, art. 11).
Nel TU sono, inoltre, presenti norme dedicate al rafforzamento della presenza sindacale, in particolare di RLS/RLST, e del ruolo degli organismi paritetici (art. 47, art. 48, art. 51, art. 52).
Infine, non per importanza, vanno ricordate le norme che hanno introdotto incentivi all’adozione di modelli di gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese (art. 6, c. 8 lett. m; art. 11, c.5, art. 30, c. 5-bis e 6).
2.1 Le semplificazioni
Il fulcro del sistema sicurezza, ovvero la valutazione dei rischi e la redazione del relativo documento, costituisce per le imprese di più piccole dimensioni un adempimento particolarmente oneroso, sia dal punto di vista organizzativo che economico. Infatti, la valutazione dei rischi, oltre a dover prendere in considerazione tutti i rischi presenti sul luogo di lavoro, compresi quelli da stress lavoro correlato, quelli collegati alle differenze di genere, di età, di provenienza dei lavoratori, ecc., richiede, per la sua elaborazione, le competenze specifiche di soggetti esperti o adeguatamente formati.
Per venire incontro alle esigenze delle piccole imprese, purché non svolgano attività particolarmente rischiose (ai sensi dell’art. 29, comma 7), il TU ha previsto una serie di norme speciali. Innanzitutto, ai sensi dell’art. 29, comma 5, le imprese che occupano fino a 10 lavoratori possono effettuare la valutazione dei rischi sulla base delle procedure standardizzate (definite dall’articolo 6, comma 8, lettera f) elaborate il 16 maggio 2012 dalla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro ed entrate in vigore con Decreto Interministeriale del 30 novembre 2012. Delle stesse procedure possono beneficiare anche le imprese con un numero di lavoratori compreso tra gli undici e i cinquanta.
Tuttavia, occorre segnalare che ogni semplificazione in materia di salute e sicurezza rischia di produrre anche una riduzione delle tutele, sopratutto ove intervenga nella delicata quanto centrale attività di valutazione dei rischi. Per questo in dottrina si sono giustamente sollevate non poche critiche nei confronti di tali semplificazioni, soprattutto ove prevedevano originariamente, addirittura l’autocertificazione (possibilità che, non a caso, ha determinato l’apertura a carico dell’Italia di una procedura di infrazione della commissione europea) e laddove tutt’ora prevede (a seguito delle modifiche intervenute con il c.d. “Decreto del fare”, DL 69 del 21 giugno 2013, convertito con modificazioni nella Legge 9 agosto 2013, n. 98) il rischio di uno strisciante ritorno all’autocertificazione per le attività a basso rischio infortunistico per le quali, con decreto ministeriale verrà predisposto un modello con il quale i datori di lavoro delle aziende che operano in tali settori di attività possono dimostrare di aver effettuato la valutazione dei rischi (art. 29, comma 6 ter). Tuttavia, il modello non è stato ancora predisposto, come si legge nella Relazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali sullo stato di applicazione della normativa di salute e sicurezza pubblicata il 10 gennaio 2017, ove si afferma che è stato predisposto lo schema di decreto, ex art. 29, comma 6-ter, e che “sarà corredato da una serie di supporti alla valutazione dei rischi semplificata, attualmente in fase di elaborazione da parte di un apposito gruppo tecnico”.
Un’altra “semplificazione” discutibile, intervenuta sempre con il DL n. 69/2013, è quella che ha sostituito, solo per le summenzionate attività a basso rischio (peraltro indipendentemente dal requisito dimensionale), l’obbligo di predisposizione del DUVRI per i “servizi di natura intellettuale, alle mere forniture di materiali o attrezzature, ai lavori o servizi la cui durata non è superiore a cinque uomini-giorno”, con la mera nomina di un incaricato (ai sensi dell’art. 26, comma 3) per sovrintendere all’attività di cooperazione e coordinamento.
Altra facilitazione per le imprese di minori dimensioni consiste nella possibilità per il datore di lavoro di optare per lo svolgimento in prima persona dei compiti altrimenti spettanti al Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), ovviamente previa la frequenza di specifici corsi di formazione e aggiornamento: all’art. 34, infatti, si prevede che – salvo nei casi in cui l’istituzione di tale servizio all’interno dell’impresa sia obbligatorio a fronte della particolare pericolosità dell’attività svolta (di cui all’art. 31, comma 6) – il datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti del RSPP (nonché di prevenzione incendi e di evacuazione), nelle ipotesi previste nell’allegato 2, dandone preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. In tali casi, il datore di lavoro deve frequentare corsi di formazione (di durata minima di 16 ore e massima di 48 ore) adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative, nel rispetto dei contenuti e delle articolazioni definiti mediante accordo in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni intervenuto il 21 dicembre 2011 (e modificato dall’Accordo del 7 luglio 2016). Il datore di lavoro che svolge direttamente i compiti di primo soccorso nonché di prevenzione incendi e di evacuazione deve frequentare anche gli specifici corsi di formazione previsti agli articoli 45 e 46 ed i corsi di aggiornamento nel rispetto di quanto previsto nell’accordo citato.
Un’ulteriore semplificazione a favore della piccola e micro impresa è prevista in merito agli adempimenti relativi all’informazione, formazione e sorveglianza sanitaria dei lavoratori stagionali delle imprese medie e piccole operanti nel settore agricolo (cfr. art. 3, comma 13). L’attuazione di tale norma è avvenuta con il decreto interministeriale del 27 marzo 2013. In tale decreto si stabilisce, in merito alla sorveglianza sanitaria, che – ad eccezione delle lavorazioni che comportano esposizione a rischi specifici in relazione ai quali deve essere garantita l’effettuazione della sorveglianza sanitaria – negli altri casi “gli adempimenti in materia di controllo sanitario si considerano assolti, su scelta del datore di lavoro, senza aggravi di costi per i lavoratori, mediante visita medica preventiva, da effettuarsi dal medico competente ovvero dal dipartimento di prevenzione della ASL” (art. 2). Lo stesso decreto prevede, inoltre, in merito alle semplificazioni in materia di informazione e formazione, che tali obblighi si considerano assolti mediante consegna al lavoratore di appositi documenti (certificati dalla ASL ovvero dagli enti bilaterali e dagli organismi paritetici del settore agricolo e della cooperazione di livello nazionale o territoriale) che “contengano indicazioni idonee a fornire conoscenze per l’identificazione, la riduzione e la gestione dei rischi, nonché a trasferire conoscenze e procedure utili all’acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e all’identificazione e eliminazione, ovvero alla riduzione e gestione, dei rischi in ambiente di lavoro” (art. 3).
Si segnala, infine, la norma (art. 3, comma 13 bis) che, fermi restando gli obblighi di cui agli articoli 36 e 37, prevede che con decreto vengano definite “misure di semplificazione della documentazione, anche ai fini dell’inserimento di tale documentazione nel libretto formativo del cittadino, che dimostra l’adempimento da parte del datore di lavoro degli obblighi di informazione e formazione” in relazione a prestazioni lavorative regolamentate dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, che implicano una permanenza del lavoratore in azienda per un periodo non superiore a cinquanta giornate lavorative nell’anno solare di riferimento.