Quale rischio per i lavoratori esposti ad aflatossine?

Nuovi rischi si affacciano nel mondo del lavoro con conseguenze importanti sulla salute degli addetti. Uno di questi è legato alla manipolazione delle micotossine, cioè di sostanze tossiche prodotte da specie fungine, come le aflatossine.  Le aflatossine sono state di recente oggetto di  rivalutazione da parte dell’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro (IARC).

Le aflatossine sono

micotossine, rintracciabili su alcuni alimenti, prodotte principalmente da due specie di Aspergillus [flavus e parasiticus], un fungo che si trova, in particolare, nelle aree caratterizzate da un clima caldo e umido.

Formate da cristalli trasparenti o giallo pallidi, illuminate con raggi U.V. (360 nm) queste aflatossine emettono intensa fluorescenza da cui prendono il nome:

  • blu “(aflatossine B1 e B2);
  • verde o verde-blu (aflatossine G1 e G2) (Green);
  • blu-violetto (aflatossina M1) (da Milk)”.

L’aflatossina M1 è un

derivato metabolico dell’aflatossina B1 che troviamo nel latte (e derivati) degli animali nutriti con cibi inquinati da Aflatossina B1, nel siero e nelle urine.

E sono potenti canderogeni.

Lo SNOP (Società nazionale degli Operatori della Prevenzione) ne ha fatto oggetto di un Seminario dal titolo: Le patologie professionali e miglioramento delle notizie sullo stato di salute dei lavoratori: l’occasione dei Piani regionali di prevenzione 2015-2018 che si è tenuto il 18 settembre 2015 a Milano.

Interessante in particolare l’intervento Rischio aflatossine per i lavoratori: una esperienza nei luoghi di lavoro, a cura di Fulvio Ferri (Medico del lavoro ASL Reggio Emilia), in cui viene presentato uno studio sull’esposizione ad aflatossine condotto dal SPSAL AUSL Reggio Emilia e dall’IZS di Bologna.
Dopo aver riportato alcune indicazioni sugli aspetti chimici sono riportati anche i principali effetti (oltre a quello cancerogeno) sugli animali e sull’uomo.

> scarica le slide a cura di Fulvio Ferri

Gli effetti acuti sull’uomo comprendono: “vomito , dolore addominale, edema polmonare, coma, convulsioni, degenerazione grassa del fegato, del rene e del cuore”.

Per gli addetti i dati certi finora sono:

  • nei Paesi Bassi (lavorazioni di Arachidi) : “aumento mortalità per ca. vie respiratorie in gruppi di lavoratori esposti ad aflatossine vs. gruppo di non esposti “Hayes RB, 1984);
  • in mangimifici di Danimarca, in addetti più anziani (> 10 aa.): eccesso di tumori a fegato, vie biliari, ghiandole salivari e mediastino, rispetto a popolaz. generale (Olsen J.H. 1988)”.

Il relatore riporta poi i risultati di una relazione della Commissione Europea del 1996, Reports of the Scientific  Committee for Food, in cui si indica che le aflatossine sono agenti cancerogeni genotossici e che solo un livello zero di esposizione non comporta rischi. E, in questo senso, si indica che la decisione su quale livello di rischio sia accettabile o tollerabile è socio-politica e va oltre la valutazione scientifica.

Da queste considerazioni derivano diverse indicazioni normative e regolamenti per limitare il contenuto di aflatossine nell’alimentazione.

Viene, a questo proposito, ricordato il quadro normativo:

  • Dir. 2002/32/CE relativa alle sostanze indesiderabili nell’alimentazione degli animali;
  • D.M. 21 maggio 1999 – Regolamento interministeriale recante norme di attuazione della direttiva 1999/29/CE, relativa alle sostanze ed ai prodotti indesiderabili nell’alimentazione degli animali.

E si ricorda che secondo il Regolamento (CE) n. 1881/2006 del 19 dicembre 2006, che definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari, le aflatossine sono ricercate in:

  • “mais e derivati;
  • cereali e derivati;
  • arachidi;
  • frutta secca (pistacchi, fichi secchi, datteri, …);
  • spezie (peperoncino rosso, pepe Caienna, paprica, pepe nero e bianco, noce moscata, zenzero, curcuma , …)”.

E l’aflatossina M1 si cerca nel latte e derivati.

E dunque, continua il relatore,

anche per la Commissione Europea, le aflatossine sono cancerogeni potenti. Inoltre sono genotossiche, teratogene. Ma… Solo se le si considera nell’ ambito alimentare!

Infatti le norme europee che le considerano tali

valgono solo nell’ambito della tutela dei consumatori di alimenti (umani o da allevamento, che siano)! Non c’è alcuna norma di prevenzione specifica che tuteli i lavoratori esposti: le Aflatossine non sono comprese nella lista europea dei cancerogeni professionali!

Eppure – continua l’intervento – le aflatossine “si assorbono benissimo anche per via respiratoria (non solo per via digerente)”. L’assorbimento per via respiratoria, anzi, “è più rapido che per via digerente”.

E si indica che gli unici riferimenti “normativi” che “richiamano un rischio professionale dei lavoratori esposti ad aflatossine sono i seguenti:

  • carcinoma epatocellulare – patologia tabellata come malattia professionale: “dal giugno 2014, il Decreto Min.Lav. 10.06.14 ha inserito l’epatocarcinoma come Malattia Professionale, con obbligo di denuncia (art. 139 DPR 1124/65), in caso di precedente esposizione professionale ad Aflatossina B1;
  • un richiamo all’uso dei DPI tra i lavoratori addetti ai trattamenti del mais contaminato è presente nella Circolare Min. Salute del 16 gennaio 2013 (“Procedure operative straordinarie per la prevenzione e la gestione del rischio da contaminazione da aflatossine …”).

Dati gli alimenti interessati il comparto maggiormente a rischio è quello agroalimentare, ma non solo: raccolta (mais, …), carico e scarico (porti, autotrasportatori, …), deposito/insilamento, trattamenti meccanici, essiccazione, produzione mangimi, distribuzione agli animali da allevamento, laboratori analisi, produzione di biogas, incenerimento, …

L’intervento riporta poi indicazioni sulle indagini svolte nello studio condotto dal SPSAL AUSL Reggio Emilia e dall’IZS di Bologna e diverse foto esplicative relative alle possibili situazioni di rischio. Indagini che al di là del problema delle polveri (concentrazione delle polveri e livelli di esposizione) si sono soffermate sul contenuto di aflatossine nelle materie prime, nelle polveri depositate sugli impianti o a terra, nell’aria.

Anche in questo caso sono riportati diverse tabelle con i dati relativi all’esposizione a polveri e ad aflatossine.

Riportiamo per concludere alcuni suggerimenti dell’autore sul “che fare” per tutelare la salute dei lavoratori:

  • “informazione dei lavoratori obbligatoria anche se le Aflatossine non sono nella lista dei cancerogeni professionali, sono comunque cancerogeni, riconosciuti tali dalla scienza e da altre leggi: da ciò l’obbligo di valutazione del rischio” (ex D.Lgs. 81/2008) e di “informazione per i lavoratori (v. codice ICOH x Medico Competente)”;
  • “applicazione delle buone prassi di prevenzione per: evitare/limitare la contaminazione di prodotti; risanare i prodotti contaminati (cernita efficace); limitare la dispersione/inquinamento da polveri contaminate (aspirazione e ventilazione degli amb. di lavoro); proteggere al meglio ogni individuo esposto (DPI);
  • misurare per valutare il rischio residuo e/o l’efficacia delle misure adottate;
  • sorveglianza sanitaria specifica (?!?): eventuale monitoraggio biologico (?) con associata valutazione delle abitudini alimentari individuali…;
  • obbligo di denuncia (ex art 139 , DPR 1124/65), in caso di epatocarcinoma, in esposto (attuale o ex esposto ) , come da Decreto Min.Lav. 10.06.14”.

E, naturalmente, conclude la relazione, serve una “adeguata integrazione alla normativa attuale”.

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