Quando il benessere è troppo

In una recente riunione periodica, i partecipanti (dal datore di lavoro al RSPP, dal Medico Competente al Rls) si trovavano in disaccordo su quasi tutto, ma convergevano su un punto, seppur con motivazioni diverse.
Il benessere e il lavoro non sono cose che possono stare insieme. Aggiungendo che, malgrado l’art. 2 lett. o del D.Lgs. 81/2008 spieghi che la salute consiste in un “completo stato di benessere fisico, mentale e sociale”, è troppo pensare di porselo come obiettivo.

Il Legislatore pretende troppo, almeno in Italia. Si sa l’Italia, nel senso comune, è sempre indietro in  tutto. Poi magari si scopre che non è sempre vero. Ma tant’è.

Facciamo allora un passo indietro. A chi è venuta l’idea di definire la salute in questo modo? E ha veramente prescritto un’utopia?
L’idea della salute come benessere fisico e psicologico comparve nello Statuto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 1948. Si trattava della sintesi degli studi di allora. Per secoli, compresa parte della modernità, quando si afferma il metodo scientifico e il modello biomedico ci si preoccupa della malattia più che della salute. E la salute è “assenza di infermità”. Ancora nel 1953 la salute veniva definita come “espressione da diversi livelli di resistenza alla malattia”. Quindi la definizione dell’OMS era già molto avanzata.
Ciò nonostante oggi viene giudicata superata e da qualcuno addirittura obsoleta: e ci si orienta verso altre definizioni di salute. La principale critica è quella che la salute non è affatto una condizione statica in cui, simultaneamente, a più livelli, s’incontra il massimo del  benessere individuale.

Piuttosto la salute consiste in uno sforzo continuo di adattamento alle mutevoli condizioni ambientali.

La salute è una condizione di armonico equilibrio funzionale, fisico e psichico, dell’individuo dinamicamente integrato nel suo ambiente naturale e sociale.
(A. Seppilli, 1966)

Lo studioso che ha fissato la definizione dello stress Hans Seyle dice che:

Il segreto della salute e della felicità risiede nella capacità di adattarsi con successo, anche il minimo possibile, alle condizioni eternamente mutevoli del mondo.

Si tratta quindi di ragionare di stati dinamici che hanno uoogo nel corso della propria esistenza, influenzati da aspetti individuali, sociali e ambientali. Aggiunge Cosmacini:

L’uomo per serbare salute e benessere, per  tutelare e migliorare la qualità della vita, deve mantenersi in equilibrio col suo mondo.

Il passaggio è dovuto all’evidente limite del modello biomedico. Basta una sola osservazione per capirlo. Il modello biomedico concepiva l’organismo come un insieme di organi funzionali che si ammalavano secondo una lineare relazione di causa-effetto. Il punto è, che tra le altre cose, si è scoperto che l’esposizione a un identico fattore di rischio non comportava automaticamente per tutti la stessa conseguenza, quale l’ammalarsi per esempio. Andando avanti si è scoperto che diversi fattori contribuiscono a questa differenziazione, e che questi fattori sono legati in breve a due grandi aree: l’ambiente e l’eredità genetica. Si è capito allora che è  importante, per prevenire i rischi, lo studio  delle  diverse condizioni di vita e del corredo familiare.

Queste considerazioni spostano il tema salute dall’orbita unicamente sanitaria alla vita complessivamente intesa. E il lavoro è una delle più importanti componenti della vita. In esso confluiscono aspettative, ambizioni, richieste, fatiche, frustrazioni, condizioni climatiche e ambientali, relazionali. Nel micro mondo del lavoro interagiscono tutte le componenti del macro mondo della vita. Non è possibile eliminare i rischi, ma è possibile promuovere la salute nel complesso della relazione tra lavoratore/lavoratrice e il lavoro. Una relazione in parte soggettiva, legata alla singolarità delle persone.

Il lavoro, inoltre, va ricollocato nella giusta prospettiva, come attività al servizio del miglioramento delle condizioni di vita. Quello che Trentin negli anni ’80  definì come il processo di umanizzazione del lavoro, e quello che per anni cercò di perseguire l’imprenditore Olivetti  affermando che l’azienda non è

un puro organismo economico, ma un organismo sociale che condiziona la vita di chi contribuisce alla sua efficienza e al suo sviluppo.

Secondo la ILO la promozione della salute nei luoghi di lavoro contribuisce a:

  • Miglioramento dell’organizzazione del lavoro e dell’ambiente di lavoro;
  • Dialogo sociale e partecipazione attiva dei partner sociali nel miglioramento delle condizioni nel luogo di lavoro;
  • Promozione della salute tra tutti i lavoratori, le loro famiglie e le loro comunità;
  • Incoraggiamento allo sviluppo personale e del benessere mentale mettendo in grado i lavoratori a raggiungere un livello più alto di autodeterminazione sulla salute e il suo miglioramento.

Nel Regno Unito il NICE (National Institute for Health and Care Excellence) ha varato delle Linee guida per migliorare la Work Health Promotion, articolate in diversi punti. In uno di questo l’“organisational commitment” si incarica di:

  • Fare della tutela della salute e del benessere dei lavoratori la priorità per il top management;
  • Assicurarsi che tutti i manager nell’organizzazione, inclusi i direttori e i membri del CDA, si impegnino a tutelare la salute e il benessere dei lavoratori;
  • Arruolare manager che abbiano caratteristiche di leadership tali da migliorare la salute e il benessere dei lavoratori, tra cui essere aperti e disponibili, e incoraggiare nuove idee;
  • Assicurarsi che le regole sulla salute e benessere siano incluse in ogni programma di formazione, addestramento e sviluppo per il nuovo personale;
  • Guardare alla salute e alla sicurezza come parte della cultura di un datore di lavoro che si prende cura dei dipendenti, e non solo come un obbligo di legge;
  • Evitare procedure aggressive di ritorno al lavoro che possono incoraggiare il presenteismo, dato che il ritorno al lavoro dopo una malattia non implica necessariamente che la salute e il benessere dei lavoratori sia migliorato.

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