I rischi e la rappresentanza dei lavoratori “flessibili”

Fonte: Olympus


I lavoratori cosiddetti flessibili, cioè vincolati a contratti che prevedono prestazioni a tempo, hanno rischi diversi e magari maggiori degli altri lavoratori? Quali sono le forme di rappresentanza che li tutelano?

A rispondere a queste domande è la Prof. Chiara Lazzari (Professoressa a contratto di Diritto del lavoro, Università di Urbino Carlo Bo), che ha tenuto la relazione: Tutela della salute e sicurezza nelle tipologie contrattuali flessibili dopo il Jobs Act e ruolo del rappresentante dei lavoratori.

L’intervento è avvenuto all’interno del convegno Modelli di rappresentanza e forme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, organizzato da OPRAM (Organismo Paritetico Regionale Artigianato Marche) e coordinato del prof. Paolo Pascucci (Università di Urbino Carlo Bo) svoltosi  a Pesaro il 30 settembre 2016.

La Prof. Lazzari indica un “in più” dei rischi nella:

frequente inadeguatezza dell’informazione e della formazione in materia di sicurezza sul lavoro; in un controllo sanitario reso più complesso dalla problematica tracciabilità del rischio e degli aspetti clinici, ed eventualmente patologici, correlati al lavoro; in una maggiore esposizione ai rischi psico-sociali, specie allo stress, a causa dell’instabilità occupazionale, della vulnerabilità economica, della debolezza contrattuale; in una scarsa conoscenza dell’ambiente di lavoro, la quale rende il soggetto meno edotto circa le potenzialità nocive di questo.

A cui va aggiunta la tendenza di assegnarli ai

compiti meno qualificati, più pesanti o ripetitivi

considerando che una consistente parte di questa popolazione è

composta da giovani, donne ed immigrati, ossia categorie già afflitte da problematiche specifiche in materia di sicurezza.

Quali tutele fronteggiano quindi questo “di più” di rischio?

L’intervento della Prof. Lazzari individua che per i lavoratori autonomi

si assiste, da un lato, ad un innalzamento del pregresso livello di tutela con riguardo alle collaborazioni che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro (cd. collaborazioni eterorganizzate), alle quali, a partire dal 1° gennaio 2016, si applica, ai sensi dell’art. 2, comma 1, D.Lgs. 81/2015, la disciplina propria del lavoro subordinato, evidentemente anche in materia di salute e sicurezza (senza, quindi, che operi il limite di cui all’art. 3, comma 7, D.Lgs. 81/2008, in ordine all’applicabilità del D.Lgs. 81/2008 al lavoro a progetto e ai rapporti di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. esclusivamente nelle ipotesi in cui la prestazione si svolga nei luoghi di lavoro del committente).

Per gli altri lavoratori, a partire da coloro che svolgono il “lavoro accessorio”, la Prof. Lazzari segnala che il D.Lgs. 81/2015

riscrive l’art. 3, comma 8, D.Lgs. 81/2008, in un’ottica restrittiva limita ora l’applicazione del citato decreto, e delle altre norme speciali vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute, ai casi in cui la prestazione sia resa a favore di un committente imprenditore o professionista; casi nei quali, evidentemente, si ritiene significativo il grado d’inserimento del lavoratore nell’organizzazione altrui, così da giustificare l’operatività del D.Lgs. 81/2008 nella sua interezza. Nelle altre ipotesi, invece, interverrà soltanto l’art. 21 dello stesso decreto, recante disposizioni relative ai componenti dell’impresa familiare di cui all’art. 230 bis c.c. ed ai lavoratori autonomi. Si ribadisce, invece, l’esclusione dalla tutela, già affermata dal D.Lgs. 81/2008, dei piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresi l’insegnamento privato supplementare e l’assistenza domiciliare ai bambini, agli anziani, agli ammalati ed ai disabili, secondo una formulazione retaggio dell’originario art. 70 D.Lgs. 276/2003.

Ricorda, infine, che l’art. 28 del D.Lgs. 81/2008 mette in rilievo come il DVR vada compilato tenendo conto di tutte le differenze, comprese quelle contrattuali. Tali differenze vanno portate a conoscenza del Rls, in modo che questi possa dispiegare pienamente il suo ruolo di rappresentanza anche nei confronti dei lavoratori con contratti a tempo o comunque flessibili. In particolare, egli può vigilare sull’applicazione dei divieti

che inibiscono il ricorso al lavoro flessibile in mancanza della valutazione dei rischi. E ciò, innanzitutto, nel senso di ‘vigilare’ sull’effettuazione di tale adempimento, tenendo altresì conto che, fra le prerogative del RLS, rientra pure quella di ‘fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti’ – evidentemente anche quelle decise in conseguenza di una valutazione che abbia, o meno, considerato specificamente i rischi collegati alla tipologia contrattuale – così come i mezzi per attuarle, ‘non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro’.

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