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Self-employment: il fenomeno dell’autoimprenditorialità

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Il mondo del lavoro è cambiato profondamente negli ultimi 20 anni, per l’intensificarsi dell’automazione e per le modifiche introdotte dal legislatore comunitario e da quello nazionale al sistema del lavoro salariato e dei rapporti di lavoro. Un nuovo modello di lavoro è esploso in Europa e in generale in gran parte del mondo occidentale. In inglese viene chiamato self-employment. In italiano chiamiamo questo nuovo tipo di lavori autoimprenditorialità. Il fenomeno è nato alla fine degli anni novanta ed ha visto un’incredibile crescita in moltissimi settori. Questo nuovo modo di gestire la forza lavoro da parte delle imprese ha cambiato radicalmente la vita di milioni di individui.

Negli Stati Uniti il 10% della forza lavoro del paese è composta da lavoratori autonomi (circa 16 milioni di persone) mentre nell’Unione europea era il 17% nel 2021 [1].

Secondo l’indagine sulla forza lavoro dell’Unione europea (Eu-Lfs), la percentuale di lavoratori autonomi rispetto al complesso della forza lavoro occupata era del 15,1% nel 2002 e, dopo aver raggiunto un picco del 15,4% nel 2004, ha raggiunto il valore minimo di 14,9% nel 2015 [2].

In un dossier dell’Unione europea [3] (Eurofound 2017), che riporta in dettaglio tutti i dati disponibili sull’argomento, si mettevano in evidenza, già allora, le intrinseche criticità di questo tipo di lavoro. Nel dibattito politico in relazione al lavoro autonomo emergono diversi aspetti contradditori. Dal punto di vista dell’occupazione, il lavoro autonomo è proposto come un modo per promuovere l’innovazione e la creazione di posti di lavoro. I responsabili politici cercano in tutti i modi di incoraggiare più persone ad avviare un’attività in proprio e diventare lavoratori autonomi.

Si presume che un numero crescente di persone desideri una maggiore autonomia e autogestione della propria vita lavorativa e che apprezzerebbe l’opportunità di avere un maggiore controllo sul lavoro che svolge e su dove e quando lo svolge. Tuttavia, si teme che il lavoro autonomo non sia sempre il risultato di una scelta genuina e che alcune forme abbiano caratteristiche in comune con il lavoro dipendente. I lavoratori non hanno di fatto quell’autonomia che solitamente viene associata ai rapporti di lavoro che possono essere inclusi nell’autoimprenditorialità, non possono determinare liberamente le proprie condizioni di lavoro e il valore economico del proprio lavoro. Allo stesso tempo, hanno una protezione sociale inferiore a quella fornita dalla maggior parte delle forme di lavoro dipendente.

Anche la sostenibilità economica di alcune forme di lavoro autonomo è oggetto di discussione. I lavoratori autonomi sono maggiormente rappresentati sia nelle fasce di reddito più basse che in quelle più alte. Per chi ha un reddito basso, la stabilità finanziaria è chiaramente una preoccupazione a breve termine, ma dati i livelli inferiori di protezione sociale, anche la sicurezza finanziaria a lungo termine è un problema, e lo è anche per chi ha un reddito più elevato.

Ne abbiamo avuto un esempio anche nel nostro paese di questi rischi, negli anni passati. La stampa nazionale si è interessata ad esempio al mondo dei rider. Questi lavoratori autonomi infatti sono stati al centro dell’attenzione dei media a seguito di uno sciopero in cui i lavoratori chiedevano più garanzie e un contratto. Il problema più grande è infatti proprio questo. Essendo datori di lavoro di loro stessi i self -employment si assumono tutte le responsabilità che in una normale impresa sarebbero ricadute sull’azienda. Se avviene un infortunio o i lavoratori sono costretti a letto per malattia le aziende non sono obbligate a pagare nulla. Stessa cosa se vanno in vacanza. Uguale se gli si rompe la bici. Questo pero non è solo un problema dei rider molti dei lavori a cottimo hanno lo stesso problema causato da una mancata regolamentazione. Attualmente per i rider la regolamentazione è avvenuta per via contrattuale secondo due diverse tipologie di accordi attuati nel nostro paese[4]

Questo tipo di lavori li incontriamo anche nel mondo dell’agricoltura e in quello del network marketing [5], dove i lavoratori sfuggono spesso a ogni forma di regolamentazione favorendo anche l’illegalità. In Italia a proposito dei rider si è parlato di caporalato 2.0 [6] che sfrutta la forza lavoro immigrata più debole a causa della posizione irregolare nel nostro paese o per la scadenza del permesso di soggiorno.

Il mondo della così detta gig economy [7] è in costante espansione inglobando sempre una percentuale maggiore della forza lavoro. In fatto di prevenzione questo è un problema visto il basso grado di rappresentanza sindacale riscontrabile nell’ambito di questi lavori cosi disgregati.

Il mondo dei lavoratori autonomi è vario e complesso ma a oggi dimostra chiaramente che c’è la necessita di regolamentare questo tipo di posti di lavoro in modo da tutelare il lavoratore allo stesso modo in cui è tutelato qualunque altro salariato.

Il profilo di rischio dei lavoratori che operano in condizioni di autoimprenditorialità è evidentemente descritto dalla specificità del lavoro che svolgono, ma sicuramente possiamo considerare alcuni elementi che ne acuiscono le criticità [8]: questi elementi si iscrivono fondamentalmente nel quadro delle misure organizzative di tutela da cui di fatto sono per lo più esclusi.

Consideriamo in particolare due elementi fondanti della legislazione nazionale e comunitaria in materia di salute e sicurezza quali i diritti di rappresentanza (Rls/Rlst/Rls di sito) e l’obbligo di istituire il Servizio di prevenzione protezione e nominare il Medico competente, a supporto del datore di lavoro nella individuazione valutazione e gestione dei rischi: è evidente che il lavoratore che opera in “autonomia” non potrà godere di nessuno dei vantaggi, sul terreno della prevenzione, offerto dalle misure organizzative previste dall’81.


NOTE

[1] https://www.cedefop.europa.eu/en/tools/skills-intelligence/self-employment?country=EU&year=2021#1.

[2] https://www.eurofound.europa.eu/sites/default/files/ef_publication/field_ef_document/ef1718en.pdf

[3] Exploring self-employment in the European Union, Publications Office of the European Union, Luxembourg

[4] Accordi aziendali e Contratto nazionale Assodelivery-UGL Rider. Quest’ultimo fortemente criticato nel merito da Cgil Cisl e Uil

[5] Si tratta sostanzialmente di vendere un determinato prodotto o servizio in modo diretto, tramite la creazione di una rete di clienti (da qui il termine “network”) messa in piedi attraverso contatti e conoscenze personali. Fonte OpenFinanza

[6] 2.0= “nella sua più recente e aggiornata versione”.

[7] La gig Economy è il modello economico, ormai affermato, che si basa sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo.

[8] Non affrontiamo qui il tema dei rischi psicosociali, che chiaramente hanno un loro peso specifico considerando le caratteristiche di precarietà di questi lavori.

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