Si muove?

Verrebbe da rispondere come Galileo: “eppur si muove”, pur se lentamente.
Ci riferiamo all’attenzione della magistratura rispetto alle norme del Testo Unico. Nonostante l’impressione di impunità, e il calcolo statistico secondo cui la possibilità di un’azienda di essere oggetto di controlli si verifica ogni quindici o vent’anni, le sentenze della magistratura si fanno via via più puntuali e chiare.

Se passiamo in rassegna solo alcune di quelle emesse quest’anno, saltano agli occhi le valutazioni più precise e la maggior sicurezza con la quale i giudici maneggiano la materia .

Prendiamo ad esempio la sentenza di Cassazione Penale, Sez.IV, 16 aprile 2018 n. 16713.

La vicenda riguarda l’infortunio mortale occorso nel settembre 2008 a T.S., dipendente della L., precipitato da un’altezza di dodici metri, a seguito dello sfondamento di una lastra di vetro resina posta sul tetto di un capannone ove il predetto T.S. si era portato per effettuare la manutenzione delle grondaie.

Qui il datore di lavoro è stato ritenuto responsabile dell’infortunio a causa della

omessa previsione nella redazione del documento di valutazione dei rischi, di quello connesso alla manutenzione dei capannoni ed allo svolgimento di lavorazioni in quota, nonché [del]la mancata nomina del RSPP.

Non solo non si è provveduto alla nomina del RSPP, ma è stato redatto un DVR incompleto e non veritiero. A questo si è aggiunta la condanna del Preposto

per aver omesso di vigilare sulla osservanza dei precetti imposti e sulla concreta attuazione delle misure di sicurezza nell’ambito delle proprie attribuzioni e competenze

e, più specificatamente,

per aver dato disposizioni al T.S. di eseguire i lavori sistemazione delle grondaie, benché quest’ultimo non avesse mai ricevuto adeguata formazione, né fosse mai stato informato dei rischi specifici connessi allo svolgimento di lavori particolarmente pericolosi, come quelli che si effettuano in quota; con ciò violando l’obbligo che grava sul preposto, ex art.19 lett.b) d.lgs.81/2008, di verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zona che li espongono ad un rischio grave e specifico.

Come si vede, non si prende di mira solo il Datore di lavoro, ma si discende l’intera catena delle responsabilità. E non può mancare nemmeno l’omessa formazione al lavoratore.

Ma c’è di più. La Cassazione esamina le cause anche nell’ottica di una ricerca consapevole del risparmio. Nel caso in oggetto (ma è poi così raro?), si è

consapevolmente agito allo scopo di conseguire un’utilità per la persona giuridica; ciò accade, ad esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l’esito (non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma) di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d’impresa: pur non volendo il verificarsi dell’infortunio a danno del lavoratore, l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell’ente (ad esempio far ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione).

Insomma, secondo la Corte

Ricorre il requisito del vantaggio

requisito che si ha

quando la persona fisica, agendo per conto dell’ente, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche e, dunque, ha realizzato una politica d’impresa disattenta alla materia della sicurezza del lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto…

La superficialità e la leggerezza con cui si affronta il tema della sicurezza e della salute dei lavoratori non ha come obiettivo primario, come ovvio, quello di procurare volutamente un danno al lavoratore, e neppure è solo il frutto di una sottovalutazione culturale del tema. Ha la sua motivazione in un interesse preciso, quello di risparmiare. Aggirando i costi relativi alla sicurezza, che in realtà sono investimenti sui lavoratori e sulla qualità del lavoro.

Su questo concetto si ritorna pure nella sentenza della Cassazione Penale, Sez.IV, 23 novembre 2017 n. 53285. Dove il datore di lavoro e, anche qui, il preposto di una S.p.a. sono condannati per aver

cagionato al lavoratore dipendente F.S., lesioni personali gravi.

Al Datore di Lavoro è stato contestato di non avere provveduto a

predisporre un documento di valutazione dei rischi che recasse l’individuazione della procedura per attuare le misure di sicurezza… ad adottare adeguate misure tecniche e organizzative e a procedere alla formazione e informazione del lavoratore in ordine ai rischi connessi.

E di conseguenza, come nel caso precedente, al Preposto è stato contestato

di non avere controllato che l’uso del macchinario fosse riservato a lavoratori dotati di informazione, formazione e addestramento adeguati.

C’è di più. Sempre al Preposto viene contestato di essersi limitato a

inidonei i richiami verbali, non seguiti dall’adozione di provvedimenti, anche disciplinari.

Il Preposto è una figura che raramente compariva tra quelle chiamate in causa in caso di incidenti e responsabilità. Oggi si delineano sempre più i suoi compiti, il ruolo e le responsabilità che lo individuano, e non è più un mero e ignaro esecutore, ma un attento compartecipe delle politiche di prevenzione aziendale.

E ce n’è pure per il Documento di Valutazione dei Rischi, che non può essere trattato come una incombenza burocratica da eseguire con faciloneria, con superficialità. Atteggiamento, anche in questa sentenza sottolineato, che non è dovuto a scarsa consapevolezza del Datore di lavoro, ma dal perseguimento dell’obiettivo di lucrare sui costi, di risparmiare nel rapporto, come dice la  Corte, tra spesa e guadagno. Ecco il passo:

nel caso di specie, i giudici di merito hanno ricollegato la responsabilità amministrativa dell’ente alla inidoneità del documento di valutazione dei rischi predisposto e alla inadeguatezza dell’attività di formazione e informazione del lavoratore, entrambi causa dell’infortunio, laddove, con riferimento al vantaggio/interesse dell’ente, hanno evidenziato l’incidenza della scorretta prassi aziendale accertata sul rapporto spesa-guadagno.

Non si può risparmiare sulla salute dei lavoratori. È sbagliato considerare il benessere un costo, quando è un fattore produttivo come la manutenzione delle attrezzature. La differenza, non trascurabile, è che quando si parla di benessere si sta parlando di persone. Quelle che quasi sempre fanno la differenza tra una azienda che sta sul mercato, che amplia la sua presenza e quella che fatica a tenere il passo della concorrenza.

Questo è lo spirito, direi l’etica aziendale, che permea non solo la normativa specifica, ma direi tutta la legge. Per chi fa finta di non capire o vuole falsare la concorrenza in modo sleale, le sentenze alla fine arrivano.

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