Sicurezza sul lavoro: RSPP tra posizione di garanzia e responsabilità penale

La definizione fornita dal D.lgs. n. 81 del 2008, art. 2 lett. f), individua e definisce il “Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP)” come persona fisica in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’art. 32, designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il “servizio di prevenzione e protezione dai rischi” che, come noto, è integrato dall’insieme delle persone, dei sistemi e dei mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori.

Rispetto allo schema originario delineato dal D.lgs. n. 629 del 19 settembre 1994, la norma sopra indicata e, soprattutto, la interpretazione sistematica offerta dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, hanno determinato una significativa evoluzione  del ruolo assunto dall’RSPP nel senso di una maggior responsabilizzazione di tale figura professionale, la quale, benché è chiamata a svolgere funzioni di natura puramente consultiva e propulsiva, ha il dovere di coadiuvare il datore di lavoro nella valutazione dei rischi e nella stesura del relativo documento, nonché per il coordinamento del servizio di prevenzione e protezione. Conseguentemente per il RSPP è ipotizzabile una responsabilità penale qualora, agendo con negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento errato ovvero abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l’ adozione di una misura di prevenzione che si assume doverosa e la cui attuazione avrebbe scongiurato il verificarsi dell’evento lesivo.

Partendo da tali premesse, la più recente giurisprudenza della Suprema corte, è intervenuta con diversi pronunce per chiarire la linea di demarcazione utile ad individuare i confini della responsabilità penale del RSPP rispetto a quella del datore di lavoro. In particolare,  si segnala per importanza e chiarezza interpretativa,  l’arresto giurisprudenziale oggetto di commento (cass. pen. sez. IV, sentenza 24.01.2013 n. 11492) con il quale la Corte di Cassazione ha statuito il seguente principio di diritto : il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all’osservanza della normativa antinfortunistica, lo stesso opera, piuttosto, quale “consulente” in tale materia del datore di lavoro, il quale è e rimane direttamente tenuto ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio. In effetti, la “designazione” del RSPP, che il datore di lavoro era tenuto a fare a norma del D.lgs. n.626 del 1994, art.8, individuandolo ai sensi dell’art. 8 bis del citato decreto tra le persone i cui requisiti siano adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative (v. ora D.lgs.  81 del 2008 artt. 31 e 32),  non equivale a “delega di funzioni” utile ai fini dell’esenzione del datore di lavoro da responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica, perché gli consentirebbe di “trasferire” ad altri – il delegato – la posizione di garanzia che questi ordinariamente assume nei confronti dei lavoratori. Posizione di garanzia che, come è noto, compete al datore dì lavoro in quanto ex lege onerato dell’obbligo di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi all’espletamento dell’attività lavorativa. Quanto detto però non esclude che, indiscussa la responsabilità del datore di lavoro, che rimane persistentemente responsabile della posizione di garanzia, possa profilarsi lo spazio per una (concorrente) responsabilità del RSPP. Anche il RSPP, che pure è privo di poteri decisionali e di spesa e quindi non può direttamente intervenire per rimuovere le situazioni di rischio, può essere ritenuto (cor)responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qualvolta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione.

Per comprendere la portata concreta della predetta pronunzia si segnala che la fattispecie concreta oggetto di disamina da parte della Corte di legittimità, si riferiva alla penale responsabilità dell’RSPP nominato dalla ASL in ordine ai reati contravvenzionali connessi alla violazione delle norme antinfortunistiche ed al più grave delitto di lesioni colpose riportate da un paziente sottoposto ad una terapia con apparecchio elettromedicale che, a causa di una sovratensione dell’impianto elettrico, aveva ricevuto una forte scossa elettrica a seguito della quale era caduto dal letto, perdendo i sensi e riportando anche una lesione lacero-contusa al capo. La condanna inflitta dal Giudice di prime per il reato di lesioni nei confronti del RSPP dell’azienda sanitaria, in concorso con il datore di lavoro ex art. 113 c.p. ed art. 41 c.p., era stata motivata dalla ritenuta negligente sottovalutazione dei rischi legati alla presenza nei locali di un impianto elettrico non a norma, con conseguente malfunzionamento degli apparecchi medicali e per l’imperizia dimostrata dallo stesso, nella qualità di consulente del datore di lavoro, nell’omettere i necessari presidi di gestione del rischio omettendo, altresì, di far affiggere in modo visibile la tabella recante le istruzioni da seguire per i soccorsi da prestare a persone eventualmente folgorate. La sentenza veniva riformata dalla Corte di Appello di Sassari per intervenuta estinzione del reato atteso il decorso del termine di prescrizione.   

La difesa svolta dall’imputato con l’interposto ricorso per cassazione, per quanto è dato ricavare dalla lettura della sentenza in commento, aveva censurato la sentenza di appello per non aver accolto la richiesta di assoluzione fondata sulla dedotta insussistenza del fatto, considerata l’omessa individuazione delle specifiche condotte colpose ascrivibili al RSPP, non avendo tenuto debitamente conto del fatto che tale soggetto,  chiamato a rispondere del reato p. e p. dall’art. 590 c.p. da un lato, riveste un ruolo di natura consultiva e dall’altro che l’intervento volto a gestire la situazione di rischio connessa alla variazione della tensione del macchinario, avrebbe necessitato di ingenti finanziamenti che al momento del fatto storico oggetto di imputazione  non potevano erogarsi per carenza dei necessari fondi. 

La Suprema Corte, con la sentenza n. 11492 del 24.01.2013, per dirimere la questione di diritto sollevata con il ricorso, ha indicato una rigorosa linea di interpretazione dei compiti del RSPP all’interno del sistema prevenzionistico ed ha fissato il perimetro della responsabilità penale della suddetta figura precisando che il medesimo, seppure privo di capacità immediatamente operative all’interno della struttura aziendale, ha, comunque, il dovere di prestare “ausilio” al datore di lavoro nella individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e nella elaborazione delle procedure di sicurezza, potendosi ipotizzare una corresponsabilità penale o addirittura una sua responsabilità esclusiva per le conseguenze derivanti dall’omessa informazione del rischio.

Orbene, dall’illustrato principio che attualmente costituisce il paradigma di riferimento della responsabilità penale  in ordine all’interpretazione delle norme del TUSL che definiscono ruolo e funzioni del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione,  emerge, chiaramente, che la sanzione penale a carico del RSPP non può essere comminata per il solo fatto di non aver svolto adeguatamente le proprie funzioni di verifica delle condizioni di sicurezza, perché tale condotta non è di per sé sanzionata nel sistema normativo. Viceversa, ogni qualvolta l’inadempimento dell’obbligo di segnalazione del rischio abbia cagionato un evento lesivo eziologicamente riconducibile alla condotta omissiva, come nel caso oggetto di commento, dal fatto di reato può trarre origine l’indagine penale anche a carico del consulente del datore di lavoro che potrà essere chiamato a rispondere personalmente, anche dal punto di vita  patrimoniale, nell’ipotesi di costituzione di parte civile nei suoi confronti, qualora all’esito del processo venga validata la contestazione elevata dalla pubblica accusa. 

Precisato quanto sopra, sulla base dell’esperienza maturata dallo scrivente nell’ambito dei procedimenti penali connessi alla violazione delle norme poste a presidio della sicurezza sul lavoro, si consiglia al RSPP una volta formalizzato l’incarico da parte del datore di lavoro, di valutare con spirito di piena, reciproca ed effettiva collaborazione con quest’ultimo, la concreta esistenza dei rischi potenziali  per il lavoratori ed i soggetti terzi (come nel caso di specie) che interagiscono con i servizi offerti dall’impresa, redigendo il relativo documento (DVR) in modo puntuale e  quanto più aderente al dato reale oggetto di osservazione ed alle criticità riscontrate. Chiaramente, nell’ipotesi abbastanza frequente in cui vengano rilevate anomalie meritevoli di segnalazione, si consiglia di non indugiare a comunicarle formalmente al datore di lavoro coadiuvandolo poi nella ricerca di valide soluzioni, senza porre in essere atteggiamenti oppositivi che appaiono controproducenti per il professionista. Tale atteggiamento ispirato al perseguimento della effettiva garanzia della sicurezza sul lavoro assume valore virtuoso anche nella  prospettiva processuale; invero, sia nella fase delle indagini preliminari, sia nel giudizio penale che dovesse seguire all’esercizio dell’azione penale da parte del PM, una efficace difesa tecnica  dovrà tendere a stigmatizzare l’assenza di imprudenza, imperizia, o negligenza nell’operato del  RSPP, in modo tale da escluderne la colpa professionale.

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