Tecnostress sfide e rischi dell’innovazione tecnologica | intervista a Sara Stabile

Intervista a Sara Stabile, chimico e Ricercatore c/o il Dipartimento di Medicina, Epidemiologia, Igiene del Lavoro ed Ambientale dell’INAIL.

Sara è un chimico che si è appassionata alle nuove tecnologie. Il suo sguardo è al futuro e all’impatto che queste potranno avere nella nostra vita.
Ci racconta dei dati che ha raccolto e dei programmi promossi dall’Inail, insieme ad altre istituzioni, per la promozione di progetti innovativi nell’ambito della salute e sicurezza sul lavoro. Tutto in un’ottica di maggiore flessibilità e migliore equilibrio vita privata – vita lavorativa.

Quali sono  i cambiamenti più rilevanti, in termini di rischi per la salute,che le ICT (Information and communication technology) portano con sé all’interno delle organizzazioni?

Come già sostenuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, il modo di lavorare negli ultimi quattro decenni è radicalmente mutato anche per il maggiore uso delle ICT. Le utilizziamo, oltre che sul lavoro, in svariati ambiti: dallo studio,all’intrattenimento.

Accade però, che l’applicazione e l’implementazione di una nuova tecnologia in un ambito lavorativo non sempre avvengano prima che ci sia una buona comprensione degli effetti ed una adeguata valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori.

Dunque il lavoratore può accusare sintomi da stress a causa di orari e ritmi di lavoro intensi, carico di lavoro eccessivo, crescente complessità dei compiti e delle mansioni, sovraccarico di informazioni, riqualificazione professionale continua, aumento di nuove relazioni e di contatti virtuali, disturbi muscolo scheletrici causati da apparecchiature ergonomicamente inadeguate o da posture forzate, a cui si somma l’esposizione ai campi elettromagnetici, rientranti nella categoria “tradizionale” dei rischi fisici.

Dunque il tecnostress è una delle patologie che rientrano nell’ambito dello stress lavoro-correlato?

In ambito lavorativo il tecnostress è definibile come uno stato psicologico negativo associato all’uso attuale o futuro delle ICT. Per analizzare tali fonti di stress alcuni studi si sono focalizzati sulle caratteristiche organizzative, individuali e tecnologiche.

Esistono categorie lavorative più a rischio?

Le categorie più a rischio non sono identificabili solo in settori specifici (operatori ICT, informatici, di rete, call center), ma sono estese a tutti i lavoratori che utilizzano le ICT in maniera costante, simultanea ed eccessiva.

Come si individua il tecnostress?

Il Dipartimento di Medicina, Epidemiologia e Igiene del Lavoro dell’INAIL, ha elaborato un percorso metodologico per un’adeguata valutazione e gestione del rischio stress lavoro-correlato, in linea con gli obblighi di legge, che potrebbe dare un valido contributo anche nell’ottica dell’innovazione tecnologica.

Con quali sintomi si manifesta il tecnostress?

Il tecnostress può avere come conseguenza il technostrain, che si riferisce ad una combinazione di alti livelli di ansia, stanchezza e senso di inefficacia connessi all’uso delle ICT e alla sperimentazione di alti livelli di attivazione fisiologica, tensione e disagio.

Inoltre, l’uso abituale e smodato delle ICT potrebbe determinare una diminuzione della capacità di controllo volontario e quindi indurre dipendenza o technoaddiction. Un uso eccessivo potrebbe anche incidere sull’insorgenza di disturbi del sonno e di sintomi depressivi e avere conseguenze sulle relazioni sociali.

Sara, sei in possesso di dati recenti sull’uso delle tecnologie fra i lavoratori in Italia? Li utilizzano maggiormente gli uomini o le donne?

Nell’ambito del report Istat “Cittadini e tecnologie”, emerge che nel 2014 la quota degli occupati che usa il personal computer e Internet è di circa l’80% (rispettivamente 76% e 78,9%).

Tra le donne occupate il pc viene usato nel 77,5% dei casi, mentre tra i maschi nel 74,8%.

Lo stesso andamento si può osservare per quanto riguarda l’uso di internet: tra le donne è dell’80,5% mentre tra gli uomini è del 77,7%. Nello specifico tra gli occupati, il personal computer risulta maggiormente utilizzato dai direttivi, dai quadri e dagli impiegati (90,6%) rispetto ai dirigenti, agli imprenditori e ai liberi professionisti (88%); seguono i lavoratori in proprio e i coadiuvanti (65,3%) e gli operai e gli apprendisti (il 60,2%). Le stesse differenze nei livelli di fruizione si ripropongono per quanto riguarda l’uso di Internet, che è utilizzato soprattutto da dirigenti, imprenditori, liberi professionisti,  direttivi, quadri e impiegati (oltre l’88%). In rete è possibile trovare, invece, solo il 66,1% degli operai e degli apprendisti.

Secondo te, una collaborazione fra medico di base e medico del lavoro, potrebbe aiutare l’azienda ad arginare il fenomeno o, quantomeno, ad intervenire quando la condizione di stress non è già in fase avanzata?

In un’ottica di prevenzione è sempre auspicabile una collaborazione tra figure professionali con esperienze e competenze diverse nell’approccio all’attuazione di misure per il miglioramento delle condizioni di salute.

Una collaborazione in tal senso potrebbe potenziare il ruolo di entrambi nelle attività di prevenzione e nella promozione della salute del cittadino/lavoratore, tenendo conto anche del fatto che l’uso delle ICT ha reso sempre meno netti i confini tra vita lavorativa e vita privata.

A tuo parere, per prevenire e curare patologie derivanti da nuove forme di organizzazione del lavoro, occorre una formazione aziendale adeguata e quindi, per certi versi, anch’essa innovativa?

Esistono diverse modalità per ridurre l’effetto dello stress legato all’uso della tecnologia quali: literacy facilitation (facilitazione di  alfabetizzazione), technical support provision (fornitura di assistenza tecnica), involvement facilitation (facilitazione coinvolgimento).

La formazione e l’informazione, che sono misure generali di tutela estese, secondo un processo di apprendimento continuo, a tutte le figure coinvolte nella gestione della salute e sicurezza, hanno una funzione fondamentale nel supportare i processi di sviluppo e di cambiamento organizzativo.

Quindi, la sfida è di riuscire a ripensare la formazione, sia in termini di progettazione che di erogazione, in un’ottica di innovazione tecnologica, utilizzando le potenzialità che questa può dare in termini di maggiore coinvolgimento e partecipazione.

Che formazione proporresti?

Una formazione focalizzata sul trasferimento di competenze tecniche e sull’accrescimento della consapevolezza sia delle potenzialità delle ICT che dei possibili rischi derivanti da un uso inappropriato.

L’importanza dell’innovazione nei processi informativi e formativi aziendali ha portato ad introdurre nel progetto Rassegna Concorso Inform@zione 2016, promosso dalla Regione Emilia-Romagna, Azienda USL di Modena e INAIL e dedicato alla promozione e divulgazione di strumenti informativi e formativi in materia di salute e sicurezza sul lavoro, la categoria nelle ICT.

Abbiamo parlato degli aspetti negativi di un abuso di ICT: quali sono quelli positivi derivanti da un uso equilibrato delle ICT?

Nonostante le criticità evidenziate l’uso delle ICT è naturalmente destinato a diffondersi ulteriormente, come anche ribadito dalla strategia Europea 2020 per “un’agenda europea del digitale”, che ha lo scopo di accelerare la diffusione di Internet ad alta velocità e sfruttare i vantaggi d i un mercato unico del digitale per famiglie e imprese.

Le ICT hanno una effettiva ricaduta non solo sugli aspetti economici e sulla produttività aziendale, ma anche sulla qualità del lavoro, in termini di nuove forme di organizzazione del lavoro, competenze adattabili, maggiore flessibilità e migliore equilibrio vita privata – vita lavorativa. Le nuove tecnologie rappresentano, dunque, una grande opportunità all’interno delle organizzazioni solo se adeguatamente valutate, gestite e regolamentate.


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