Trattare la sicurezza come un tema a sé. A chi giova?

Storica la sfida fra aspetti tecnico-normativi e gestionali riguardo la sicurezza sul lavoro.ù
Diffusa ancora, leggendo dati e statistiche o ascoltando storie di “corridoio” nei convegni, la tendenza a demandare e relegare al Servizio di Prevenzione e Protezione (interno o esterno che sia) il presidio della sicurezza, come se fosse un tema a sé, rispetto al cuore dell’azienda ed al futuro del suo business.

Grandi aziende con funzioni interne separate e che, pur occupandosi di temi che fanno cultura, non comunicano tra di loro. Piccole imprese, che si appoggiano a chi “quick and dirty”, diceva un mio amico, ti risolve gli aspetti normativi delle prescrizioni.
Ma non tutte per fortuna, non sempre.

Tutto ruota, secondo me, intorno ad una questione centrale ed annosa, tipo una cartina tornasole che indica chi sta da una parte e chi dall’altra: Cosa significa fare prevenzione sul lavoro? Applicare rigide prescrizioni oppure, alimentare il sistema previsionale e di autocorrezione dei singoli e dell’organizzazione (Farnese, Barbieri, 2010)?

I problemi di sicurezza sul lavoro sono nella maggior parte dei casi considerati conseguenze di un comportamento soggettivo, tanto che 8 volte su 10 un incidente/infortunio su lavoro è attribuito a disattenzione o sottovalutazione del rischio da parte del lavoratore. Ma disattenzione e sottovalutazione sono cause o effetti? Si affrontano nello stesso modo o prevedono eventualmente contesti diversi? Chi deve affrontarli?

Leggendo un caso di qualche anno fa, che ritengo di successo nel settore farmaceutico, realizzato da HXO un’ottima società di consulenza, mi sono convinta che la strada esiste e non riguarda solo le grandi aziende. È una strada metodologica ed al tempo stesso culturale (anche qui quale causa e quale effetto).

Il Progetto Be-Safety è infatti un buon esempio di modello di intervento che ha permesso di trasformare i processi di supporto alla sicurezza in un modello di analisi e intervento organizzativo. È stato condotto attraverso una metodologia di valutazione ed intervento sulla sicurezza che ha visto coinvolte la direzione HR, il Servizio di prevenzione e protezione e manager di diverse direzioni di tutta l’azienda, intorno a concetti come Consapevolezza Organizzativa e Personale ed Apprendimento duraturo.

Due le aree di analisi, affrontate con un approccio scientifico ed approfondito:

  • GLI ANTECEDENTI DELLA SICUREZZA
  • I CONNETTORI DI SICUREZZA

Nell’articolo pubblicato nella rivista HXO del 2012 (ed. Franco Angeli) spiega, senza parsimonia o segreto intellettuale, l’approccio e la metodologia usata.
Da un lato dunque, ci spiega HXO, gli “antecedenti della sicurezza” costituiscono il contenitore culturale e climatico della sicurezza, nel quale approfondire come sono esplicitati e condivisi gli aspetti chiave dell’impresa, quali: la propria struttura (lavoro per obiettivi o per compiti, regole e criteri decisionali, accesso e gestione della conoscenza); il rapporto tra policy, valori e percezione dei lavoratori (equità, stile  relazionale, sistemi di monitoraggio delle performance e feedback); il rapporto tra autoefficacia, sviluppo individuale, l’orientamento all’ottimizzazione dei processi e cittadinanza/integrazione organizzativa (intesa come l’insieme dei comportamenti lavorativi extra-ruolo che vanno oltre il richiesto).

Approfondire questo, significa, allenarsi e via via abituarsi a considerare gli errori qualcosa da cui imparare e vedere opportunità di conoscenza.

Dall’altro i “connettori di sicurezza” costituiscono i comportamenti effettivi dell’organizzazione nel presidiare e diffondere sicurezza tra i suoi componenti. Ne sono esempi: le pratiche di gestione dell’errore; l’attenzione ai segnali silenti; l’attenzione alla prima linea ed agli ultimi arrivati; la distanza di potere ottimale e la reiterazione delle informazioni.

Tutti aspetti che permettono di capire con cosa è davvero impegnata l’azienda.

Con rigore metodologico dunque è stata condotta un’analisi ed un ri-disegno dei processi interni, dalla valutazione dei rischi, ai processi di produzione e gestione delle risorse, che hanno spostato in 4 mesi la cultura d’impresa verso il concetto del “Prendersi Cura” (di sé, dell’ambiente, degli altri, degli strumenti ecc.), per anticipare i panorami futuri.

Per me quindi una riflessione conclusiva:

  • collezionare insuccessi, personali o organizzativi, che siano legati a mancate performance o quasi-infortuni o alti tassi di retention, senza volerli vedere o meglio ancora analizzare, non giova né all’azienda, né al nostro Paese;
  • non si tratta di pratiche che riguardano solo le grandi aziende o quelle medio/piccole con grandi capitali, riguarda un modo di guardare al futuro, che considera l’individuo centrale e la cultura della prevenzione e della sicurezza un prezioso alleato per la sostenibilità futura;
  • esistono metodologie rigorose e al contempo semplici che permettono di fare bilanci ed impostare la prassi del “Prendersi cura”. Perciò quali i benefici ed i costi di non usarle?

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