Dopo anni di accorati appelli perché le istituzioni – nella loro articolazione nazionale e territoriale delle competenze in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro – recuperino iniziativa, per rendere il Sistema nazionale di prevenzione più razionale ed efficace nella sua operatività, arriva dall’attuale governo una risposta significativa per il peso delle misure che introduce.
In assenza di un dibattito reale tra istituzioni e parti sociali, per la condivisione delle misure adottate, è con uno strumento legislativo di urgenza (il D.L. n. 146 del 2 ottobre 2021, pubblicato in G.U. del 21 ottobre) che viene emanata una radicale modifica dell’assetto istituzionale, della distribuzione delle competenze, del quadro legislativo che, dalla legge di riforma sanitaria (D.Lgs. 833/1978), regge il sistema nazionale di prevenzione.
Il permanere di una condizione significativa di rischio nei contesti lavorativi, che determina quotidianamente un numero elevato di infortuni mortali che ricorrono con modalità pressoché identiche a quelli degli anni 50, ha ripetutamente richiamato l’attenzione di quanti operano nel campo della prevenzione: sono state quindi avanzato richieste motivate di interventi, anche sul terreno della vigilanza, nei confronti dei governi che si sono succeduti in particolare negli ultimi cinque anni circa. (È di fatto dalla metà dello scorso decennio che è avanzata una strisciante disattenzione ed un’estrema difficoltà di confronto e di dialogo sui temi della sicurezza e salute sul lavoro: ne è prova la inattività quasi costante della Commissione consultiva permanente che dagli anni ’50 permetteva un dialogo, talvolta anche difficile, ma pur tuttavia reale tra istituzioni nazionali, regioni, organizzazioni sindacali e associazioni datoriali).
Nei mesi scorsi abbiamo presentato, in precedenti articoli, alcune di queste richieste motivate considerandole degne di attenzione per ruolo di rappresentanza dei soggetti estensori (sindacati territoriali di Milano) e per specificità di competenze (Ciip, Consulta inter associativa italiana per la prevenzione).
La sanità diffusa sul territorio, i presidi medici e il rafforzamento degli PSAL (Servizi prevenzione e sicurezza sul lavoro) sono un elemento strutturale del sistema che si è depotenziato con le conseguenze che tutti oggi evidenziamo. Su questi temi la politica nazionale e regionale si sono rivelate assolutamente inadeguate. [1]
Centrale per le tre organizzazioni sindacali [2] è evidentemente la battaglia contro il depotenziamento dei Servizi di prevenzione e sicurezza sul lavoro delle Asl, e la richiesta non solo dell’incremento delle risorse, in uomini e mezzi, ma la garanzia della presenza di tutte le competenze necessarie ad operare in termini di interdisciplinarietà nella prevenzione dei rischi connessi al lavoro.
L’Italia è il fanalino di coda in Europa per investimenti in prevenzione: 0,5% della spesa sanitaria complessiva, contro una media UE del 2,9%. Pochissime le Regioni che investono in prevenzione il 5% del Fondo sanitario, valore da tempo stabilito, la maggior parte si attesta ben al disotto; le risorse di personale dei Servizi di prevenzione delle ASL si sono via via assottigliate (Servizi Prevenzione e Sicurezza Ambienti Lavoro: nel 2008 erano 5.060 operatori, nel 2018 sono 3.246), in diversi casi dimezzate, per mancato reintegro del turnover per le varie figure professionali (medici del lavoro, tecnici della prevenzione, ingegneri, chimici, assistenti sanitari) e mancati investimenti nel sistema dei Laboratori di Sanità pubblica, nella modernizzazione delle attrezzature. [3]
Ancor più significativo è l’orientamento del Piano nazionale di prevenzione (2020-2025) che interviene nel dibattito su vigilanza e prevenzione assegnando, dopo anni di sperimentazione con successo del modello, un ruolo determinante alle attività organizzate nell’ambito del Piano Mirato di Prevenzione (Pmp) definendolo:
lo strumento in grado di organizzare in modo sinergico le attività di assistenza e di vigilanza alle imprese, per garantire trasparenza, equità e uniformità dell’azione pubblica e una maggiore consapevolezza da parte dei datori di lavoro dei rischi e delle conseguenze dovute al mancato rispetto delle norme di sicurezza, anche e soprattutto attraverso il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati per una crescita globale della cultura della sicurezza. Il Pmp si configura come un modello territoriale partecipativo di assistenza e supporto alle imprese nella prevenzione dei rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro, da attivare in tutte le Regioni (in qualità di Programma Predefinito).
Questo è il terreno su cui ci si è mossi e su cui si è tentato di orientare anche le scelte governative :
- potenziare i servizi delle ASL, garantendo la presenza di tutte le professionalità necessarie per intervenire in aziende, cantieri, nel settore agricolo, ecc.
- progettare interventi in grado di coniugare vigilanza e prevenzione considerando che la sola vigilanza non risolve il problema della incapacità di valutare e gestire i rischi in un mondo del lavoro caratterizzato da imprese che, otto su dieci, hanno meno di 10 dipendenti.
E qual è la risposta del governo?
Si volta pagina: da oggi la scena è governata alla pari, oltre che dai Servizi di prevenzione delle Asl e dalla Regioni, anche dall’Ispettorato nazionale del lavoro.
Non importa se le migliori competenze in termini di azioni operative di carattere preventivo sono solo presso i Servizi ASL, pur nelle differenze regionali e di risorse dedicate. Mentre l’ispettorato del lavoro tali competenze non le ha poiché si è occupato e si occupa principalmente di regolarità dei rapporti di lavoro e di sicurezza solo in maniera residuale e principalmente nel settore edile.
Quel che emerge dalle nuove disposizioni in materia di vigilanza (che di seguito vi proponiamo perché la lettura del testo letterale della norma è illuminante) ha i caratteri di una decisione ad effetto, come se affiancare alla rete territoriale un’altra struttura (con le stesse competenze) di tipo verticistico, qual è l’ispettorato del lavoro, possa miracolosamente risolvere una questione ben più complessa che è quella di mantenere vive e operative (in uomini e mezzi) strutture dotate della conoscenza specifica del territorio, quali sono i servizi delle Asl, e nel contempo garantire livelli di assistenza e supporto omogenei, a lavoratori e imprese, su tutto il territorio mediante azioni programmate, coordinate e monitorate a livello nazionale. Si tratta quindi di osare di più e progettare una struttura organizzativa nuova in cui le diverse forze collaborino davvero ciascuna con le proprie competenze e abbiano complessivamente risorse in uomini e mezzi adeguate: dalle nuove disposizioni risulta invece che le previsioni di aumento del personale sono immediatamente operative solo per l’Ispettorato del lavoro, analogamente per le risorse economiche provenienti dalle sanzioni [4]. Parità, tra le due strutture, che non si realizza certo con l’estensione (Art.14 comma 1 e comma 8 del D.L. 146/2021) ai Servizi delle Asl dell’esercizio del potere di sospensione, non solo per il mancato rispetto delle misure di sicurezza, ma anche per la presenza di lavoratori “senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro”.
Infine una riflessione che merita un approfondimento che in questo momento non sembra essere all’ordine del giorno: ma le cause di molti degli incidenti non si annidano proprio in quello “spappolamento del modello organizzativo” (come dice Gino Rubini nel suo intervento su Diario prevenzione della scorsa settimana) caratteristico di determinati contesti lavorativi, ad esempio la logistica, dove è avvenuto proprio nei giorni scorsi un ennesimo infortunio mortale (Interporto di Bologna)?
La frantumazione dei rapporti di lavoro che comporta perdita di conoscenza/esperienza da parte dei lavoratori[5], tale da non permettere loro di imparare ad autodifendersi, ad autotutelarsi per non morire sul posto di lavoro, non andrebbe riesaminata, alla luce degli eventi tragici che rischiano, dopo un primo momento di commozione, di essere attribuiti all’imperizia dei lavoratori?
D.L. n. 146 del 2 ottobre 2021
Art. 13 Disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro
Comma 1 – Poteri di vigilanza all’ispettorato nazionale del lavoro
Comma 1 lettera c) 1) modifiche all’art. 13 “Vigilanza” del D.Lgs. 81/2008
Art. 13 “Vigilanza” (comma 1) “La vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è svolta dalla azienda sanitaria locale competente per territorio…” |
Art. 13 (modificato dal DL 146) “La vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è svolta dalla azienda sanitaria locale competente per territorio, dall’Ispettorato nazionale del lavoro…” |
Comma 1 lettera c) 3) modifiche all’art. 13 “Vigilanza” del D.Lgs. 81/08
Art. 13 “Vigilanza” (comma 4) “La vigilanza di cui al presente articolo è esercitata nel rispetto del coordinamento di cui agli Articoli 5 e 7 |
Art. 13 (modificato dal DL 146) “La vigilanza di cui al presente articolo è esercitata nel rispetto del coordinamento di cui agli Articoli 5 e 7. A livello provinciale, nell’ambito della programmazione regionale realizzata ai sensi dell’articolo 7, le aziende sanitarie locali e l’Ispettorato nazionale del lavoro promuovono e coordinano sul piano operativo l’attività di vigilanza esercitata da tutti gli organi di cui al presente articolo”. |
Comma 1 lettera c) 4) modifiche all’art. 13 “Vigilanza” del D.Lgs. 81/08
Art. 13 “Vigilanza” (comma 6) L’importo delle somme che l’Asl, in qualità di organo di vigilanza, ammette a pagare in sede amministrativa ai sensi dell’articolo 21, comma 2, primo periodo, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, integra l’apposito capitolo regionale per finanziare l’attività di prevenzione nei luoghi di lavoro svolta dai dipartimenti di prevenzione delle Aa.Ss.Ll. |
Art. 13 (modificato dal DL 146) L’importo delle somme che l’Asl e l’Ispettorato del lavoro, in qualità di organo di vigilanza, ammette a pagare in sede amministrativa ai sensi dell’articolo 21, comma 2, primo periodo, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, integra rispettivamente, l’apposito capitolo regionale e il bilancio dell’Ispettorato nazionale del lavoro per finanziare l’attività di prevenzione nei luoghi di lavoro svolta dai dipartimenti di prevenzione delle Aa.Ss.Ll e dall’Ispettorato. |
Comma 2 – Incremento dell’organico dell’Ispettorato nazionale del lavoro
In funzione dell’ampliamento delle competenze di cui al comma 1, lettera c) , numero 1), l’Ispettorato nazionale del lavoro è autorizzato, per il biennio 2021-2022, a bandire procedure concorsuali pubbliche e, conseguentemente, ad assumere con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente e con corrispondente incremento della vigente dotazione organica, un contingente di personale ispettivo pari a 1.024 unità da inquadrare nell’Area terza, posizione economica F1, del CCNL comparto Funzioni Centrali. A tal fine è autorizzata la spesa di euro 22.164.286 per il 2022 e di euro 44.328.571 a decorrere dal 2023 in relazione alle assunzioni di cui al presente comma, nonché di euro 9.106.800 per il 2022 e di euro 6.456.800 a decorrere dal 2023 per le spese di funzionamento connesse alle medesime assunzioni, nonché di euro 1.500.000 per il 2022 in relazione alle spese relative allo svolgimento e alla gestione dei concorsi pubblici.
Misure analoghe sono assunte per l’Arma dei carabinieri. |
NOTE
[1] Le proposte delle tre Confederazioni lombarde per il confronto con la Regione e le Amministrazioni Locali sono raccolte in un opuscolo dal titolo “Lombardia: cambiamo passo per ripartire”.
[2] Posizione d’altronde condivisa con le Confederazioni a livello nazionale.
[3] Ciip, Consulta inter associativa, Lettera al Governo Draghi, 7 maggio 2021.
[4] Il comma 6 dell’art.13 del D.Lgs. 81/2008 prevede sì che i soldi che provengono dalle sanzioni vengano utilizzate per “l’attività di prevenzione nei luoghi di lavoro svolta dai Dipartimenti di prevenzione delle Asl”, ma questo non avviene sempre perché a disporre di tali somme sono in generale le Asl e non direttamente i Dipartimenti di prevenzione.
[5] Il giovane originario del Ghana, di 23 anni, che è morto alcuni giorni fa durante il lavoro di carico e scarico di un camion, di notte, schiacciato tra la ribalta del magazzino e il mezzo, secondo le prime informazioni, era al terzo giorno di lavoro come facchino nell’interporto alle dipendenze di un’agenzia interinale.