Un Protocollo va bene, ma non basta

Il 14 febbraio 2018 è stato sottoscritto un Protocollo d’Intesa tra la Società italiana di Medicina del Lavoro e il Ministero della Salute.

Il protocollo, del quale è allegato il testo integrale, prevede una collaborazione finalizzata:

  • alla valorizzazione dell’approccio scientifico alla tematica della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
  • alla definizione e gestione, basata su evidenze scientifiche, delle azioni prioritarie volte al controllo dei rischi lavorativi;
  • alla definizione di un quadro normativo semplice ed efficace per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro italiani;
  • alla analisi delle evidenze scientifiche sui rapporti tra insediamenti produttivi e salute della popolazione.

La firma è stata definita, dal Presidente della SMLI Violante:

una occasione storica (e lo affermo senza temere di apparire eccessivamente enfatico) perché il Medico del Lavoro Competente per la prima volta vede riconosciuto un suo ruolo attivo e propositivo a sostegno delle politiche pubbliche per la salute, entrando come protagonista in una scena che per troppo tempo lo aveva visto relegato al ruolo di comparsa.

Per carità, l’enfasi ci può stare, ma chi ha ridotto “al ruolo di comparsa” il medico competente?

Vale per i medici del lavoro, non troppo raramente, quello che vale per le società di formazione. S’incontrano due desideri: da una parte quello di avere le ”carte in regola”, a testimonianza di aver fatto quanto prescritto dalla legge, e dall’altra il desiderio di incassare il corrispettivo della redazione del Protocollo Sanitario Aziendale e delle visite.
La sostanza degli obiettivi previsti dalla normativa seguirà, se seguirà.

Capita poi che i lavoratori, se si escludono le visite periodiche, non vedano mai il medico competente, che pure dovrebbe visitare gli ambienti di lavoro almeno una volta all’anno (art. 25 ,c. l, del D.Lgs. 81/2008). Insomma, è talvolta il medico del lavoro che scompare. E non è il solo. Un altro medico che scompare è il medico di base o di famiglia. È possibile che nessuno di questi medici si sia mai accorto che il proprio paziente, che magari visita da anni, soffra di una malattia causata dal lavoro che svolge? Sembrerebbe di sì, perché sono rarissime le denunce di malattia professionale avanzate da parte di questi medici.

Anche su questo fronte è necessaria una svolta, e ben venga il Protocollo firmato dalla Società di Medicina del Lavoro, ma non basta. C’è un elemento di fondo che deve essere sviluppato, quello per cui la salute del lavoratore-cittadino venga curata all’interno di una rete che si parla e si scambia informazioni.

In Italia, come in Europa, vengono stilati e aggiornati annualmente i Piani Sanitari di Prevenzione, con l’obiettivo di migliorare nel tempo la salute dei cittadini italiani. Tra i target elencati nell’ultimo di questi piani c’è anche “Prevenire gli infortuni e le malattie professionali”. Come? All’interno viene detto:

I danni alla salute correlati all’attività lavorativa sono tra quelli che possono beneficiare di interventi efficaci da parte delle pubbliche amministrazioni coinvolte. Esistono infatti i presupposti per la realizzazione di programmi che abbiano come base la conoscenza quali-quantitativa dei rischi e dei metodi per prevenirli, la conoscenza dei danni, sia epidemiologica sia dei determinanti causali con la possibilità, infine, di realizzare azioni di contrasto ai rischi agendo da un lato sulla promozione della salute, dall’altro sul controllo del rispetto delle norme.
Le strategie nazionali di settore in attuazione degli obiettivi europei, si sono sviluppate dapprima con l’approvazione del DPCM 17/12/2007 “Patto per la salute nei luoghi di lavoro” e poi all’interno del quadro istituzionale definito al Capo II, del D.Lgs. 81/2008, costituito dal Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale (art. 5), dai Comitati regionali di coordinamento (art.7) e dalla Commissione consultiva permanente (art. 6).Tale assetto, ormai a regime, garantisce la partecipazione di tutte le istituzioni e le parti sociali a livello nazionale, regionale e territoriale, sia nella fase di programmazione sia in quella operativa.

In quel “tutte le istituzioni” ci sono le Case della Salute, i medici di base, i Pronto Soccorsi, i presidi ospedalieri e i centri analisi. Tutta la rete sanitaria italiana che, insieme ai medici competenti, deve tutelare il diritto alla salute del cittadino- lavoratore.

Viene da chiedersi: è tanto complicato proporre una specie di libretto sanitario elettronico dove confluiscono tutte le informazioni sulla storia e lo stato attuale della salute del cittadino-lavoratore? È così complicato fare in modo che il cittadino-lavoratore possa apprendere dai due sanitari di riferimento, quello di famiglia e quello aziendale, qual è il suo stato di salute, cosa fare per mantenerlo, per migliorarlo, ecc.?

Dal punto di vista tecnico è ovviamente realizzabile. Speriamo quindi che si faccia e che per realizzarlo ci sia una convergenza tra le parti sociali (Datori di lavoro e sindacati) i quali hanno o dovrebbero avere un forte, fortissimo interesse a che i lavoratori stiano bene e a lungo, visto l’età che raggiungono oggi sul posto di lavoro.

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