Repertorio Salute

Una proposta per migliorare l’attività degli Rls degli Enti Locali (ma non solo)

La difficile situazione economica, soprattutto nei Comuni, ha prodotto una riduzione delle risorse a disposizione. Serve uno specifico regolamento, che migliori la materia e declini in dettaglio le prerogative dei Rappresentanti.

di Emma Corazza
Rls Comune di Venezia

La difficile situazione economica, finanziaria e sociale degli enti locali, in special modo dei Comuni, ha prodotto una significativa riduzione delle risorse dirette ad attività, iniziative e servizi dedicati alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Il primo a pagarne le conseguenze è il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls), figura centrale nell’architettura prevenzionistica di matrice comunitaria. Questa situazione di crisi, che nell’ambito della pubblica amministrazione ha colpito con maggior durezza gli enti locali, ha davvero impedito il raggiungimento di importanti obiettivi in materia di salute, sicurezza e benessere organizzativo, cagionando l’erosione dei diritti dei lavoratori tanto faticosamente conquistati.

Oggi il Rappresentante si trova sempre più frequentemente zittito e inerme nell’espletamento del suo mandato di fronte alla diffusa trasgressione, anche da parte della pubblica amministrazione, delle norme di legge in materia di salute e di sicurezza. Quello cui stiamo assistendo è la sterile e meccanica attuazione delle norme prevenzionistiche da parte datoriale al solo fine di garantire, in caso di controlli, l’impunibilità sanzionatoria. Spesso non si concretizzano sufficienti momenti di interscambio e confronto fra i vari soggetti della sicurezza, volti a correggere le criticità della quotidianità lavorativa. Anzi, tutt’altro.

Il Rappresentante è una risorsa preziosa: studia, si aggiorna, raccoglie direttamente le esperienze e le indicazioni di chi opera “in prima linea” e le fa sue, per poi promuoverne il corretto trasferimento ai tecnici. Tutto ciò all’interno di un più grande e comune progetto, quello della tranquillità nello svolgimento del lavoro. Bisognerebbe quindi partire dalla riappropriazione, attraverso la contrattazione, della concreta capacità di influire sull’organizzazione del lavoro, superando l’isolamento in cui rischia di rimanere ogni Rls, attraverso forme di coordinamento sia materiali sia virtuali. Dall’analisi delle criticità presenti nel mio ente, ove il continuo e frequente ricorso agli organi di vigilanza denota le difficoltà del sistema di gestione della sicurezza.

Sono almeno due gli interventi da proporre con urgenza, non solo nella mia realtà, ma in tutte quelle territorialità in cui si è perso il senso comunitario della riforma prevenzionistica. Un primo passo è certamente l’ampliamento del numero di Rls e Rlst, per assicurare una presenza più diffusa ed efficace nei luoghi di lavoro, con riguardo ad aree in cui sì è rivelata insufficiente la costituzione degli Rls o, comunque, ove è richiesta un’azione più incisiva in ragione della particolare complessità e pericolosità del contesto lavorativo.

Un secondo intervento è quello di porre in trattativa in ogni ente uno specifico e articolato regolamento per gli Rls, un vero “contratto di secondo livello” che disciplini e contestualizzi – migliorando e arricchendo – tutti gli aspetti della materia, con precisazioni utili all’attività quotidiana dei Rappresentanti. A titolo esemplificativo, le parti pattuirebbero in tale sede le modalità di accesso ai luoghi di lavoro e alla documentazione aziendale, la frequenza delle riunioni periodiche di sicurezza e, più in generale, si declinerebbero nel dettaglio quali e come dovrebbero essere i flussi informativi. Non da ultimo, nel regolamento si andrebbero a definire, ampliandole per quanto possibile rispetto alle norme nazionali, la funzione e il ruolo della rappresentanza, nonché le prerogative e gli strumenti di garanzia degli Rls.

Il mio è un invito alla pubblica amministrazione locale affinché torni a favorire rapporti collaborativi con le rappresentanze dei lavoratori, mettendo a fattor comune anche quelle best practices che, nel tempo, i sindacati hanno generato. Faccio riferimento, ad esempio, all’istituzione di un coordinamento con gli esperti e le strutture proprie del sindacato, sia per l’acquisizione concreta di conoscenze e competenze sia per l’elaborazione di progetti e attività di promozione della cultura della salute e sicurezza, anche attraverso assemblee formative e informative rivolte a gruppi omogenei di lavoratori, specie tra quelli che denunciano particolari criticità.

Andrebbe altresì rimarcata la necessità di restituire adeguata protezione anche al “lavoratore della pubblica amministrazione”. Il pubblico impiego, più di ogni altra categoria di lavoratori, sopporta da anni il progressivo consolidamento di un clima lavorativo di segno negativo, certamente non incentrato al suo benessere. Faccio riferimento non solo alle molteplici campagne denigratorie dei media, ma anche a quegli elementi che, nel più ampio contesto di una congiuntura economica sfavorevole, vanno a segnare una situazione già di per sé grave per la perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni dovuta al mancato rinnovo dei contratti.

In questo è rilevante che l’innalzamento dell’età anagrafica per il pensionamento dovuta alle ripetute riforme previdenziali, unitamente al blocco delle nuove assunzioni, sta inesorabilmente portando al progressivo aumento dell’età media della popolazione lavorativa. Ciò, peraltro, comporta statisticamente una maggiore esposizione a rischi infortunistici, ovvero a malattie professionali: vanno inoltre inclusi in questo anche i nuovi rischi individuati grazie a una novazione del concetto di salute che, con riguardo al “lavoro burocratico”, ricomprende ora anche quelle patologie legate all’uso dei videoterminali o stress-correlate (quali mobbing e burn-out) o, ancora, connesse a situazioni di discriminazione di genere. Insomma, se si pretende giustamente molto in termini di prevenzione, sicurezza e benessere lavorativo da parte del datore di lavoro privato, altrettanto credo si debba pretendere dal settore pubblico.


Fonte: 2087

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