L’argomento è attualmente oggetto di interesse e manifestazione di opinioni da parte di singoli esperti. Abbiamo scelto, in questo articolo, di riportare le posizioni espresse da due fonti caratterizzate entrambe da significativa autorevolezza: una di carattere istituzionale, il Garante per la protezione dei dati personali, e una associativa, la Consulta interassociativa italiana per la prevenzione che raccoglie 15 associazioni scientifiche e tecniche con competenze nell’ambito della prevenzione dei rischi connessi al lavoro.
Il Documento della Consulta interassociativa italiana per la prevenzione: tre punti rilevanti
Considerando:
- la portata del Piano strategico per la vaccinazione anti Sars-CoV-2/Covid-19 che prevede la “vaccinazione gratuita e garantita a tutti i cittadini italiani” e gli scenari di fase che, partendo attualmente da alcune categorie (popolazione e lavoratori), prevedono che “successivamente la vaccinazione potrà estendersi al resto della popolazione”
- e la previsione che “nelle fasi successive di campagne su vasta scala verranno attivati gli ambulatori vaccinali territoriali, dei Medici di Medicina Generale e dei Pediatri di Libera Scelta, della sanità militare, e dei medici competenti delle aziende e che i Dipartimenti di Prevenzione saranno gli ‘attori’ del coordinamento per l’attuazione dei piani vaccinali regionali”.
La prima questione da affrontare, indicano gli autori del documento, è quella relativa al potenziamento dei Dipartimenti di prevenzione per metterli in grado di assolvere al nuovo impegno che li aspetta, e ci si augura “che ciò avvenga al più presto, che l’aggiornamento del Piano vaccinale per l’avvio della seconda e terza fase preveda degli standard di personale (medici, infermieri, assistenti sanitari) di cui i Dipartimenti di Prevenzione devono essere dotati in rapporto alla popolazione da vaccinare, così da fornire chiare indicazioni alla Regioni e alle Asl per il reclutamento degli operatori. La scarsità di risorse di personale dei Dipartimenti di Prevenzione è cosa nota, ripetutamente segnalata dalle associazioni professionali e scientifiche, frutto del disinvestimento nella prevenzione da parte di chi ha governato il SSN e i SSR, ha comportato enormi difficoltà nel tracciamento dei contatti manifestatesi in quasi tutto il paese”.
La seconda questione riguarda l’obbligatorietà della vaccinazione
Attualmente la vaccinazione non è obbligatoria ma fortemente raccomandata: “qualora i decisori istituzionali si orientassero per rendere obbligatoria la vaccinazione anti Covid lo dovranno fare con un atto normativo di rango legislativo, stante la riserva assoluta di legge prevista dall’art. 32 Cost., così come avvenuto per altre vaccinazioni rese obbligatorie.”
Gli estensori del documento ritengono inoltre che sono:
Ancora insufficienti, tra l’altro, le certezze sull’efficacia dei vaccini nel tempo, sui livelli di efficacia dei diversi vaccini nei confronti delle diverse fasce di età e con patologie varie, verso le diverse varianti e soprattutto sulla protezione non solo dalla malattia ma anche dalla possibilità di infettare gli altri. Gli studi clinici finora condotti hanno, infatti, permesso di valutare l’efficacia dei vaccini nella protezione dalla malattia, ‘ma è necessario più tempo per ottenere dati significativi per dimostrare se i soggetti vaccinati si possano infettare in modo asintomatico e contagiare altre persone.’ (da Faq Aifa Covid-19). A riprova di ciò Aifa conclude che ‘Sebbene sia plausibile che la vaccinazione protegga dall’infezione, i vaccinati e le persone che sono in contatto con loro devono continuare ad adottare le misure di protezione anti Covid-19’. Incertezze che condizionano non tanto la validità della campagna di vaccinazione della popolazione quanto, a nostro avviso, l’obbligatorietà della vaccinazione e i suoi riflessi sull’idoneità lavorativa.
Inquadrando il problema dell’obbligo vaccinale nell’ambito del quadro giuridico relativo alla salute e sicurezza sul lavoro dobbiamo fare rifermento all’art. 279 del D.Lgs. 81/2008 (Titolo X – Esposizione ad agenti biologici) il quale prevede che “il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari …” tra cui “a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente”. Nella maggior parte dei settori la vaccinazione anti Covid non appare rientrare in tale ambito in quanto l’agente biologico non è presente nella lavorazione bensì diffuso in ogni ambiente. La vaccinazione anti Covid rientra in tale ambito solo in alcuni settori lavorativi come ad esempio quello ospedaliero (vedi anche settori equiparati di cui all’Allegato XLIV del D.Lgs. 81/08) in cui gli agenti biologici, tra cui il SARS-CoV-2/COVID-19, possono costituire un rischio potenziale al quale i lavoratori sono esposti in via strutturale.
Per il datore id lavoro, si ribadisce nel documento, l’obbligo previsto dal decreto legislativo ’81 si configura nel “mettere a disposizione i vaccini” per i lavoratori non nell’obbligare questi ultimi a sottoporsi a vaccinazione: “in altre parole le vaccinazioni a cui si fa riferimento non costituiscono un trattamento sanitario obbligatorio perché non previste da leggi, neanche dal D.Lgs. 81/2008”.
Una terza questione riguarda il medico competente e la gestione dell’idoneità
I medici competenti per la capillarità della loro presenza e l’elevato numero di lavoratori che fanno loro riferimento possono svolgere un ruolo molto importante nella campagna vaccinale e in particolare per la possibilità di veicolare informazioni corrette. Di estrema importanza inoltre il raccordo tra medici competenti e Dipartimenti di prevenzione.
Connessa al ruolo del Medico Competente è la questione della gestione delle “idoneità lavorative di quei lavoratori che, per ragioni sanitarie individuali ovvero perché non aderiscono alla vaccinazione, non saranno vaccinati”.
Secondo gli estensori del documento sarà il medico competente infatti ad espletare i compiti relativi alla sorveglianza sanitaria e al conseguente giudizio di idoneità sia nei settori in cui i lavoratori sono esposti ad un rischio generico che in quelli dove si presenta un rischio potenziale da Sars-CoV-2/Covid-19 legato alla specificità delle attività lavorativa (ad es.strutture sanitarie). Si pone in proposito con riferimento al lavoratore il problema della “conferma o meno della sua idoneità e pertanto della conservazione o meno della sua mansione e in taluni casi del posto di lavoro in caso di impossibilità di essere vaccinato o di non adesione alla vaccinazione, sempre che non sia possibile attuare altre misure di prevenzione e protezione adeguate (ad esempio smart working)”.
Interessante è in fine la riflessione – sempre relativa al tema della obbligatorietà e conseguentemente della idoneità o meno dei lavoratori non vaccinati – secondo cui “occorre tenere presente non solo gli aspetti giuridici ma anche quelli sanitari precedentemente richiamati. In particolare la profonda incertezza sulla non contagiosità della persona vaccinata inficerebbe la distinzione tra vaccinati e non vaccinati nel determinare la protezione della collettività quantomeno fino a che non sarà raggiunta l’immunità di gregge.
La mancata chiarezza su questi temi non può che generare, ancora una volta, comportamenti difformi nelle aziende, e soprattutto nei servizi sanitari, per i quali è auspicabile la definizione di linee guida, valide sul territorio nazionale.”
Garante per la protezione dei dati personali
FAQ – Trattamento di dati relativi alla vaccinazione anti Covid-19 nel contesto lavorativo
Il garante risponde alle seguenti tre domande:
1. Il datore di lavoro può chiedere conferma ai propri dipendenti dell’avvenuta vaccinazione?
NO. Il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti che comprovino l‘avvenuta vaccinazione anti Covid-19. Ciò non è consentito dalle disposizioni dell’emergenza e dalla disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Il datore di lavoro non può considerare lecito il trattamento dei dati relativi alla vaccinazione sulla base del consenso dei dipendenti, non potendo il consenso costituire in tal caso una valida condizione di liceità in ragione dello squilibrio del rapporto tra titolare e interessato nel contesto lavorativo (Considerando 43 del Regolamento).
2. Il datore di lavoro può chiedere al medico competente i nominativi dei dipendenti vaccinati?
NO. Il medico competente non può comunicare al datore di lavoro i nominativi dei dipendenti vaccinati. Solo il medico competente può infatti trattare i dati sanitari dei lavoratori e tra questi, se del caso, le informazioni relative alla vaccinazione, nell’ambito della sorveglianza sanitaria e in sede di verifica dell’idoneità alla mansione specifica (artt. 25, 39, comma 5, e 41, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008).
Il datore di lavoro può invece acquisire, in base al quadro normativo vigente, i soli giudizi di idoneità alla mansione specifica e le eventuali prescrizioni e/o limitazioni in essi riportati (es. art. 18 comma 1, lett. c), g) e bb) d.lgs. n. 81/2008).
3. La vaccinazione anti covid-19 dei dipendenti può essere richiesta come condizione per l’accesso ai luoghi di lavoro e per lo svolgimento di determinate mansioni (ad es. in ambito sanitario)?
Nell’attesa di un intervento del legislatore nazionale che, nel quadro della situazione epidemiologica in atto e sulla base delle evidenze scientifiche, valuti se porre la vaccinazione anti Covid-19 come requisito per lo svolgimento di determinate professioni, attività lavorative e mansioni, allo stato, nei casi di esposizione diretta ad “agenti biologici” durante il lavoro, come nel contesto sanitario che comporta livelli di rischio elevati per i lavoratori e per i pazienti, trovano applicazione le “misure speciali di protezione” previste per taluni ambienti lavorativi (art. 279 nell’ambito del Titolo X del d.lgs. n. 81/2008).
In tale quadro solo il medico competente, nella sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario nazionale/locale e lo specifico contesto lavorativo e nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie anche in merito all’efficacia e all’affidabilità medico-scientifica del vaccino, può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti e, se del caso, tenerne conto in sede di valutazione dell’idoneità alla mansione specifica.
Il datore di lavoro dovrà invece limitarsi ad attuare le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio di parziale o temporanea inidoneità alla mansione cui è adibito il lavoratore (art. 279, 41 e 42 del d.lgs. n.81/2008).